Il suo difensore di fiducia – l’avvocato Jacopo Pensa – sceglie l’ironia quando parla del ministro del Turismo Massimo Garavaglia come imputato nel processo per turbativa d’asta, ora davanti alla seconda sezione della Corte d’appello di Milano.

Un procedimento molto articolato che vede una dozzina di imputati tra i quali anche Mario Mantovani, l’ex vicepresidente della regione Lombardia durante il mandato del leghista Roberto Maroni.

«All’inizio di questo processo», ha detto il legale, «Garavaglia era assessore regionale, alla fine era viceministro all’Economia. Ora siamo in appello ed è ministro. Se ci sarà un altro grado lo ritroveremo presidente della Repubblica». Pensa cerca di stemperare i toni dopo che la procura generale di Milano ha parlato di colpevolezza del ministro durante la requisitoria, chiedendo una pena di un anno e mezzo di carcere che, se confermata dai giudici, metterebbe lui e il governo in una posizione tutt’altro che agevole.

Mario Draghi potrebbe mai reggere l’imbarazzo di mantenere nel suo governo un ministro condannato, e per giunta per un reato contro la pubblica amministrazione? Difficile crederlo, soprattutto perché il premier tiene molto alla sua immagine, in particolar modo quella oltre i confini italiani dove riscuote ampi consensi e ha una leadership riconosciuta nell’Unione europea.

È anche vero che non è semplice procedere a un rimpasto con la Lega, il partito più riottoso della sua maggioranza, soprattutto perché Garavaglia appartiene all’ala governista del partito che ora gode della fiducia del premier.

La vicenda processuale

C’è da dire che finora la buona sorte non ha abbandonato Garavaglia nelle aule di tribunale. Nel primo grado di questo processo l’attuale ministro, che all’epoca dei reati contestati era assessore regionale all’Economia, è stato assolto, «perché il fatto non sussiste». L’accusa è di aver favorito, nel 2014, la Croce azzurra Ticinia nella conferma di un appalto della durata di 24 mesi con l’Azienda sanitaria milanese per il trasporto dei dializzati.

La Croce azzurra Ticinia è un’associazione che opera nell’alto milanese e ha sede a Inveruno, a pochissimi chilometri da dove è nato e da dove ora risiede Garavaglia. A quel bando non aveva neanche partecipato per una questione di scarsa remunerazione della regione e per la presenza di una serie di clausole eccessivamente onerose.

Ma, secondo l’accusa, Garavaglia e Mantovani avevano brigato per evitare che l’appalto andasse ad altri concorrenti. Per questo fatto Mantovani è risultato colpevole a differenza di Garavaglia che è riuscito a convincere i giudici della sua buona condotta.

«Non si può condannare un assessore per una telefonata» ha sempre detto Pensa, parlando dell’episodio. Per il legale questa sarebbe stata l’unica colpa di Garavaglia: essersi interessato sommariamente alla questione Ticinia pur non essendo l’assessore di riferimento per quel bando. Il processo, secondo l’avvocato, è solo il frutto dello zelo e dell’ostinazione del pubblico ministero, e non di un effettivo coinvolgimento. Che avrebbe avuto, al contrario, Mantovani, che allora aveva anche la delega alla Salute.

Ma per il pubblico ministero Giovanni Polizzi, che ha fatto appello dopo la sentenza del 2019, il coinvolgimento di Garavaglia è stato tutt’altro che limitato a una semplice telefonata. D’altronde il politico vicino al numero due della Lega Giancarlo Giorgetti, secondo chi ha lavorato con lui, ha innato uno stile dirigista e impositivo.

E il suo interessamento al bando, sostiene il pm al quale la procura generale si è rifatta per chiedere la condanna, è stato uguale a quello di Mantovani, che è stato poi condannato.

Anzi, come si legge nell’atto di appello, sarebbe stato proprio l’attuale ministro a sollecitare il collega della giunta Maroni a trovare una soluzione ai problemi lamentati dalla associazione di mutuo soccorso.

Il forzista Mantovani si sarebbe quindi attivato spingendo i funzionari regionali a mandare a monte quella gara che non aveva convenienza economica per come era stata inizialmente disegnata.

L’11 di novembre sarà il turno delle difese e Pensa esporrà le ragioni per le quali il suo assistito dev’essere nuovamente assolto. Poi toccherà alla corte decidere se ribaltare la sentenza di primo grado o andare in linea di continuità aggirando il problema di dover condannare un ministro in carica. Non resta che attendere.

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