Alla fine le parole non cambiano i fatti, l’Eni salvo sanzioni esplicite della Commissione europea pagherà in rubli come ha chiesto Vladimir Putin e non ha mai avuto intenzione di fare il contrario.

L’inizio dell’improbabile tira e molla tra Mario Draghi, Vladimir Putin, Eni, Gazprom e la Commissione europea è partito il 28 marzo. Il G7 mentre circolava la minaccia di Putin di pretendere i pagamenti del gas in rubli ha dichiarato: «Inaccettabile», mentre il governo di Mosca elaborava la strada.

Il 30 marzo Draghi così come altri leader europei ha sentito il presidente russo. Il giorno dopo ha tenuto una conferenza stampa alla Stampa estera per rassicurare tutti: «Vi riferisco le parole del presidente Putin: i contratti esistenti» sulla fornitura del gas «rimangono in vigore» così come sono, in dollari o in euro.

Poi ha specificato: «Le aziende europee continueranno a pagare in euro o in dollari. La spiegazione di come fare a conciliare le due posizioni, ovvero mantenere il pagamento in euro o dollari e soddisfare» l'esigenza di essere pagati in rubli «è stata molto lunga».

Il decreto di Putin

Poche ore dopo il presidente russo ha varato in diretta streaming il decreto che gettato nell’ansia l’Europa: l’obbligo di aprire due conti presso Gazprombank, uno in euro (o dollari, a seconda della compagnia e dei contratti) e uno in rubli. In questo modo il versamento può essere fatto come previsto dai contratti di fornitura ma la conversione di fatto la dà vinta a Mosca che avrà i suoi rubli senza dover passare dalla banca centrale di Mosca, attualmente sotto sanzioni.

Mosca prima di far partire l’obbligo ha aspettato, sarebbe diventato operativo da aprile e intanto sono state inviate le lettere alle compagnie energetiche. Il 22 aprile la Commissione europea ha cominciato a scricchiolare: Gazprombank, ha riportato in delle linee guida, non è soggetta a sanzioni, quindi teoricamente l’apertura dei conti è possibile. Da allora l’utilizzo delle parole è stato sempre più sospetto. Tutti i capi di stato e di governo hanno ribadito che nessuno avrebbe mai «pagato in rubli». Il tecnicalismo ha lasciato aperta la porta all’ambiguità e la più evidente è stata quella del ministro Roberto Cingolani.

Eni e Cingolani

La posizione della compagnia si è fatta strada sui giornali: «Eni sarebbe disposta a pagare», «Non sono state ancora avviate le procedure amministrative ma i pagamenti sono fissati per la seconda metà di maggio» ed «Eni è pronta a pagare».

Durante la presentazione dei risultati del primo trimestre la società si è espressa pubblicamente con gli analisti. Il 29 aprile il Chief Financial Officer di Eni Francesco Gattei nella conference call ha spiegato: «Pagheremo il gas consegnato nel rigoroso rispetto delle condizioni contrattuali e delle sanzioni internazionali. La valuta del contratto e la fattura sarà in euro e non abbiamo aperto un conto in rubli» ma la compagnia «sta analizzando la situazione».

La situazione intanto si è inasprita, Bulgaria e Polonia hanno preso alla lettera il dettato del G7 e non hanno aperto doppi conti. Il 28 aprile Putin gli ha staccato il gas. Ma in Europa è iniziato a serpeggiare il sospetto su chi invece avrebbe pagato. La Commissione europea è intervenuta: «Se un’azienda europea applica strettamente il decreto adottato dal presidente della Federazione russa, questo rappresenta una violazione delle sanzioni», ha detto il portavoce della Commissione, Eric Mamer.

Non si è convinto nessuno. Al punto che il ministro Cingolani ha ribadito l’apertura dell’Italia in un’intervista a Politico il 2 maggio, premurandosi di smentire solo i termini ma mai fatti: i pagamenti non sono in rubli, ma i conti si possono aprire.

«Penso che sarebbe bene per qualche mese, almeno, permettere alle aziende di andare avanti, mentre comprendiamo il quadro giuridico e le implicazioni», ha detto, aggiungendo che voleva «una rapida e molto chiara pronuncia della Commissione europea».

Politico ha titolato scrivendo che i pagamenti sarebbero stati effettuati «in rubli», il ministero ha in parte smentito confermando che l’Italia è pronta a usare il meccanismo chiesto dal decreto di Vladimir Putin: «L’articolo è fuorviante e non corrisponde alla posizione espressa dal ministro Cingolani che non ha mai aperto ad un pagamento in rubli», ma ha aggiunto: «In attesa che si definisca unitariamente, a livello di Ue, la posizione sui pagamenti, lo schema euro/rubli che prevede che le imprese paghino in euro, al momento non lascia ravvisare una violazione delle sanzioni stabilite il 24 febbraio».

Draghi a Washington

La sortita più eclatante infine è stata quella del presidente del Consiglio Mario Draghi, direttamente da Washigton, mentre si avvicina la scadenza dei pagamenti. L11 maggio, dopo l’incontro con il presidente Joe Biden, durante la conferenza stampa all’ambasciata italiana ha detto che i pagamenti continueranno: «Non c’è nessuna dichiarazione ufficiale che i pagamenti violino le sanzioni, quindi è una zona grigia». Inoltre «il più grande importatore in Germania ha già pagato in rubli e la maggior parte degli importatori di gas hanno già aperto conti in rubli con Gazprom». E adesso l’ultimo aggiornamento: Eni aprirà i conti la settimana prossima. La società ha preferito non commentare.

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