Gaza, la sinistra trova un’intesa per non dividersi

Ancora entropia. Il campo progressista, reduce da un testa a testa auspicato diventato poi una Caporetto nei fatti, dopo il risultato di Matteo Ricci nelle elezioni regionali delle Marche le condizioni del centrosinistra non migliorano. Giuseppe Conte ha potuto beneficiare della relativa distanza che lo separa dall’europarlamentare dem che ha perso il voto regionale e adesso sta battendo palmo a palmo la Calabria, dove invece è in corsa il suo Pasquale Tridico: dovesse perdere – e i sondaggi non sono favorevoli – questa volta l’ex premier non potrà addurre come ragione della sconfitta lo scarso appeal di un candidato lontano dal Movimento. Il Pd si è incartato molto in fretta nella prossima sfida politica, il dibattito sul piano di pace proposto da Donald Trump a Hamas e al governo israeliano che si intreccia con la vicenda della Global Sumud Flotilla in programma per oggi. I primi distinguo sono arrivati già nella serata di martedì. Protagonisti: i riformisti, per altro ancora in attesa di un chiarimento sulla sconfitta nell’unica regione considerata contendibile. Il congresso, però, appare sempre più lontano: in mancanza di un confronto tuttavia Elly Schlein dovrà fare i conti con una tolleranza sempre minore nei suoi confronti da parte della frangia riformista. Le Marche dimostrano che alla sinistra manca un progetto-paese. Non basta l’unità Il discrimine dei riformisti La proposta dei parlamentari riuniti intorno a Lorenzo Guerini e Paolo Gentiloni era quella di arrivare a un voto unanime di tutto il parlamento su una mozione a favore del documento in venti punti della Casa bianca. «Uno sforzo di unità, una volta tanto» nelle parole del senatore dem Filippo Sensi. Tradotto: il piano è solo un punto di partenza, ma meglio di niente. Il Nazareno, per il momento, non ha chiarito la propria linea. Quando però Giorgia Meloni ha parlato di una posizione «irresponsabile» da parte degli attivisti della Flotilla, Conte ha avuto l’opportunità di smarcarsi da qualsiasi posizione della maggioranza sul medio oriente. Durissima la replica dell’ex premier: «È davvero ardito chiedere questo dopo che una maggioranza ha finto di non vedere un genocidio, ventimila bambini uccisi. Direi che non ci sono i presupposti per un voto compatto». Un’altra sinistra è possibile, ma bisogna scompaginare L’equilibrio del Nazareno Anche il vicepresidente Riccardo Ricciardi conferma: «Io sinceramente a questo governo non voterei nulla sulla Palestina, in questo periodo si sono dimostrati allucinanti, continuando a finanziare Israele attraverso l’acquisto di armi e schernendo tutti coloro che in piazza manifestano solidarietà su Gaza». E così, la segretaria dem torna a trovarsi tra l’incudine e il martello: l’obiettivo del campo progressista diventa quello di mettere assieme un testo unico che raccolga le priorità di Pd, M5s e Avs, ma trovare la quadra per esprimere una posizione sul piano che accontenti tutti, dai contiani ai riformisti, appare una missione difficile, se non impossibile. La limatura del testo, disciplina di cui al Nazareno sono pure parecchio esperti, è ancora in corso quando questo giornale va in stampa. Nel frattempo, l’area centrista del campo progressista di Matteo Renzi e i vicini di casa Carlo Calenda e Luigi Marattin del Partito liberaldemocratico hanno già deciso di sostenere la mozione di maggioranza. Il leader di Iv, in particolare, sembra in una fase di rotta con gli alleati: lunedì a urne aperte ha attaccato Michele Emiliano del Pd, grande portatore di voti per Antonio Decaro (sostenuto anche da Renzi) in Puglia. Nelle ultime ore ha rincarato la dose attaccando la Flotilla e spendendosi per il «vero aiuto» di Trump e Tony Blair. Anche Azione sostiene il piano della Casa Bianca e fin da martedì ha proposto il ritiro di tutti i testi per firmare una mozione unica. I nodi vengono al pettine.