La pandemia da Covid-19 ci ha costretti a modificare radicalmente attività lavorative e famigliari. Da un lato, è aumentato l’impegno di tempo e risorse necessario per organizzare la vita famigliare; dall’altro, è diventata più difficile la conciliazione vita privata-lavoro.

Un forte squilibrio nella ripartizione degli impegni famigliari tra donne e uomini caratterizza da sempre la cultura italiana e aiuta a spiegare perché il peso aggiuntivo derivante dalla pandemia sia ricaduto in modo sproporzionato sulle donne.

Tra i settori economici più colpiti dalla pandemia, rientrano poi attività dove prevale l’occupazione femminile, come gli alberghi e i ristoranti, il commercio al dettaglio (escluso il comparto alimentare e farmaceutico) e i servizi artistici e ricreativi: ecco perché la pandemia di Covid-19 può essere considerata una “recessione al femminile”.

Il calo dell’occupazione

Oltre alla sproporzionata perdita di lavoro a inizio pandemia, le donne hanno incontrato maggiori difficoltà anche nel successivo reinserimento nel mondo del lavoro e sono state spesso licenziate anche per l’impossibilità di adeguare i settori a prevalenza femminile al lavoro da remoto.

Negli anni precedenti la pandemia, il tasso di occupazione femminile italiano era comunque già tra i più bassi in Europa. Dall’inizio della pandemia, come mostrano i recenti dati Istat, i tassi di occupazione femminile sono scesi ancora, nonostante i più alti tassi di istruzione. L’occupazione femminile è diminuita dal 50,1 per cento del dicembre 2019 al 47,9 per cento del dicembre 2020, mentre quella maschile è cambiata di poco: dal 67,9 per cento del 2019 al 66,4 per cento del 2020. All’opposto, il tasso di inattività femminile è quasi il doppio di quello maschile (rispettivamente il 46 per cento contro il 27 per ceento), a dimostrazione delle difficoltà che le donne incontrano nel conciliare l’attività lavorativa con quella extra-lavorativa.

Tra le pareti di casa

Questo per quanto riguarda l’occupazione salariata. Ma cosa è successo entro le mura domestiche?

Per analizzare la correlazione tra le modalità di lavoro e la suddivisione del lavoro all'interno della famiglia, abbiamo condotto un’indagine durante tre periodi diversi: ad aprile 2019, dunque prima della pandemia, ad aprile 2020, durante il lockdown, e a novembre 2020, durante la seconda ondata. L’indagine ha riguardato un campione rappresentativo di 1.249 donne lavoratrici italiane (si veda, disponibile sul sito del Collegio Carlo Alberto, Clear. Closing the gender pension gap by increasing women’s awareness).

Due domande cruciali sono poste allo studio dell’economia famigliare. La prima riguarda la ripartizione nelle diverse fasi della pandemia del lavoro domestico e di cura dei figli all’interno della coppia. La seconda riguarda il rapporto tra divisione dei ruoli nelle attività famigliari e modalità di lavoro conseguenti alle misure anti-contagio (lavoro svolto nel luogo di lavoro abituale, lavoro da casa, perdita del lavoro).

Per quanto riguarda la prima domanda, emerge che le donne hanno dedicato più ore al giorno dei loro partner ai lavori domestici, alla cura dei figli e al supporto del loro apprendimento a distanza. Per quanto riguarda la seconda domanda, risulta che, in quasi tutte le possibili combinazioni di modalità di lavoro, sono le donne a trascorrere molte più ore dei loro partner occupandosi dei lavori domestici e della cura dei figli.

Asimmetrie che persistono

Anche in situazioni simmetriche, ossia quando entrambi i partner lavorano nel loro abituale luogo di lavoro o ambedue lavorano da casa, le donne dedicano più tempo degli uomini agli impegni famigliari. Questo dato è importante e mostra quanto radicata e persistente sia in Italia una divisione dei ruoli «tradizionale». La nostra ricerca mostra infatti che il 68 per cento delle donne lavoratrici con partner ha dedicato più tempo al lavoro domestico durante il lockdown rispetto alla situazione precedente, mentre quasi un terzo vi ha dedicato lo stesso tempo.

Guardando, invece, ai partner, solo il 40 per cento ha dedicato più tempo al lavoro domestico, mentre più della metà non ha modificato le proprie abitudini in casa. Per le coppie con figli, vediamo che per la maggior parte delle madri lavoratrici (61 per cento) è aumentato il tempo di cura, mentre il 34 per cento ha lasciato inalterato il proprio impegno. Anche la maggioranza dei padri ha aumentato il tempo dedicato ai figli, ma la proporzione si ferma al 51 per cento mentre il 45 per cento non ha modificato il proprio comportamento.

Le donne hanno dedicato un numero maggiore di ore al lavoro domestico, rispetto ai partner, sia prima dell’emergenza Covid-19, sia durante entrambe le ondate. Le donne hanno inoltre dedicato un maggiore numero di ore alla cura dei figli più nella prima ondata che nella seconda, e i partner hanno aiutato di più nella cura dei figli che nel lavoro domestico. Anche il sostegno da casa nella didattica a distanza dei figli è stato contraddistinto da un maggiore impegno delle donne rispetto agli uomini.

L’analisi della distribuzione del tempo dedicato al lavoro famigliare mostra come le donne abbiano lavorato più ore in famiglia indipendentemente dal lavoro del partner. La differenza più significativa emerge nelle famiglie in cui gli uomini hanno continuato a lavorare sul posto di lavoro, mentre le donne lavoravano da casa. Ma perfino nella situazione opposta, in cui le donne lavoravano fuori casa e gli uomini da casa, le donne hanno dedicato comunque più tempo al lavoro famigliare degli uomini (2,92 contro 1,40 ore al giorno).

Poche sorprese

Gli effetti del Covid-19 sulla divisione dei ruoli nella famiglia sono stati molto significativi, anche se non sorprendenti. Certo, ci si poteva attendere che il cambiamento imposto dalla pandemia sulle modalità di lavoro avesse un effetto sui divari di genere nella famiglia. Gli uomini, lavorando da casa, avrebbero potuto, da un lato, abituarsi a svolgere alcune attività che prima non svolgevano, dall’altro diventare più consapevoli del peso e dell’importanza del lavoro famigliare, ma soprattutto della necessità di condividerlo. Inoltre, passando più tempo con i figli, a volte da soli, anche gli uomini avrebbero potuto apprezzare un rapporto più diretto e un legame più forte con loro.

Poiché una maggiore condivisione tra i partner del lavoro domestico e di cura contribuisce a spiegare una maggiore partecipazione al mercato del lavoro delle donne, questi risultati aggiungono serie preoccupazioni per le conseguenze di lungo periodo del Covid-19 sull’indipendenza economica femminile. Se non cambierà il modo di distribuire il lavoro famigliare, sarà difficile avere una maggiore occupazione femminile.

Le possibili soluzioni

Quali interventi potrebbero essere rilevanti per affrontare questa situazione nel lungo periodo? Una delle politiche più importanti per ridurre il divario di genere in Italia riguarda l’offerta di servizi di assistenza all'infanzia per i bambini di età compresa tra 0 e 3 anni, notevolmente inferiore rispetto al resto d’Europa (25 per cento in Italia, rispetto al 59 per cento in Francia, 42 per cento in Spagna e 35 per cento in Germania). Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) tra gli obiettivi principali per far crescere la partecipazione delle donne al lavoro c’è quello di incrementare l’offerta di servizi (sia per la prima infanzia, sia per l’età 3-5), con una distribuzione più uniforme tra le regioni.

Tuttavia, una maggiore offerta di servizi per l’infanzia non sembra essere sufficiente a risolvere quella disparità di genere all'interno della famiglia che emerge chiaramente anche dai dati descritti sinora. Solo politiche indirizzate a influenzare un cambiamento culturale nei ruoli potrebbero aiutare a invertire la situazione attuale.

I nostri risultati per l’Italia suggeriscono che un congedo di paternità più lungo sarebbe importante per coinvolgere gli uomini più direttamente nelle attività di cura dei bambini piccoli nelle attività domestiche. L’attuazione di un congedo di paternità obbligatorio più lungo e alternativo a quello della madre (di recente fissato a dieci giorni in Italia) potrebbe aiutare a riequilibrare il carico di lavoro delle donne (tanto a casa quanto nel mondo del lavoro) e potrebbe far evolvere le norme di genere italiane dalla struttura familiare tradizionale verso modelli di ruolo più egualitari.


L’articolo è tratto da L’Italia dei divari numero monografico de il Mulino 4/22 (euro 15)

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