Attacco a Spinelli: l’ira delle minoranze, l’aula sospesa, sberleffi da FdI. Schlein: «Meloni è stata commissariata dalla Lega, non ha una linea». Poi la premier pranza al Colle, con Mattarella nessun faccia a faccia
«Meloni chieda scusa», urla in aula il rossoverde Marco Grimaldi, ma è Federico Fornaro, deputato del Pd che è anche studioso di storia e biografo di Giacomo Matteotti, a fare vibrare i banchi di tutte le opposizioni di Montecitorio: «Non è accettabile fare la caricatura degli uomini protagonisti del Manifesto di Ventotene. Lei, presidente Meloni, siede in questo parlamento anche grazie a loro. Noi siamo qui grazie a quei visionari di Ventotene che erano confinati politici. Si inginocchi di fronte a questi uomini e queste donne, non insulti la loro memoria». Da sinistra scrosciano gli applausi, da destra partono salve di rumori indefinibili.
È da poco passata l’una, le opposizioni si rivoltano contro Giorgia Meloni, gridano «oltraggio alla memoria». Lei le guarda soddisfatta prima di infilare l’uscita. Ha appena pronunciato, a chiusura della sua replica agli interventi sulle comunicazioni in vista del Consiglio europeo di oggi, un comiziaccio contro Altiero Spinelli. Ha declamato un taglia-e-cuci di qualche passaggio socialisteggiante del Manifesto di Ventotene.
A freddo, si è trasfigurata e ha deriso un antifascista confinato nell’isola ponziana, universalmente riconosciuto come uno dei padri dell’Europa. A cui è dedicato uno dei palazzi del parlamento europeo di Bruxelles.
Fontana bacchetta Meloni
Il presidente leghista Lorenzo Fontana sospende l’aula, poi la fa riprendere e poi la risospende, le opposizioni sono incontenibili, la maggioranza risponde a sberleffi. «Non c’è spazio in quest’aula per il fascismo», urla Alfonso Colucci (M5s).
«Mo basta co’ sto fascismo», sbotta il capogruppo FdI Galeazzo Bignami, quello immortalato in divisa da nazista. Dai banchi di FdI di nuovo parte la gazzarra quando Matteo Richetti (Azione) ripete la parola «fascismo». Alla ripresa, Fontana difende l’istituzione: «Chiedo a tutti di mantenere toni consoni e adeguati all’aula della Camera», e qui potrebbe avercela con tutti. Ma poi continua: «Chi ha combattuto per la nostra libertà merita il nostro plauso». Inequivocabile riferimento alla premier. Che però non c’è più.
Dopo aver scatenato la tempesta in aula, è salita nelle ovattate stanze del Quirinale per il tradizionale pranzo prima dell’appuntamento europeo. Dal Colle, più tardi, filtrerà che non c’è stato nessun faccia a faccia tra il presidente Sergio Mattarella e la presidente. E i due «non hanno parlato di Ventotene». Il freddo è intuibile.
In aula Maria Elena Boschi (Iv) interpreterà così: «Meloni ha mandato di traverso il pranzo a Mattarella, che ha ricordato che il Manifesto di Ventotene è un punto di riferimento nella costruzione europea».
Sì, il capo dello Stato ha tributato ripetuti omaggi a Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. In realtà in tempi andati lo aveva fatto anche Meloni. Glielo ricorda il presidente M5s Giuseppe Conte: quella su Ventotene è «una polemica creata ad arte, eppure, in passato avete detto che i firmatari avevano idee chiare».
Alle opposizioni risulta chiaro, dal minuto uno degli scontri, che l’attacco è una polemica preparata a freddo. La maggioranza è riuscita a restare unita solo a patto di sbianchettare dalle risoluzioni le parole che la farebbero esplodere. Non c’è, per esempio, alcuna citazione del piano ReArm Eu, che a Strasburgo FdI e FI hanno votato e la Lega no. E sul tema degli aiuti all’Ucraina, che vengono assicurati, sono curiosamente spariti quelli militari: che la Lega non voterebbe.
Meloni senza linea
Così alla vigilia dell’incontro con i capi di governo e di stato dell’Unione, la premier italiana deve spostare l’attenzione dalle evidenti spaccature del suo governo. Lo spiega Riccardo Magi, +Europa: «Vuole farci parlare delle sue oscene parole per nascondere che non ha una linea di politica estera e non ha una maggioranza in politica estera».
Concetto ripetuto da tutte le opposizioni, anche se ciascuna forza presenta la sua risoluzione. «Meloni si è chiusa per mesi in un silenzio imbarazzato ma nel frattempo sono successe tante cose in Italia, in Europa e nel mondo e il paese non conosce la sua opinione», dice la segretaria Pd Elly Schlein, «conosce però quella della Lega, che in sostanza ha commissariato Meloni.
Nella vostra risoluzione avete fatto sparire la difesa comune e il piano von der Leyen. Ci credo che voterete compatti, non avete scritto nulla. Se dice che la sua Europa non è quella di Ventotene, io chiedo a Meloni qual è la sua Italia. È quella della Costituzione? Stiamo ancora aspettando di sentire che lei si dichiari antifascista come la nostra Costituzione su cui ha giurato».
A fine giornata il voto sulle risoluzioni passa in secondo piano. E così, in fondo, anche le divisioni dell’opposizione: il Pd vota la propria risoluzione e si astiene sulle altre. Avs e M5s chiedono il voto dei testi per singole parti, sperando di attrarre qualche voto dem: il Pd alla fine vota no alla richiesta allo stop degli aiuti militari all’Ucraina di Avs e M5s (un no fortemente voluto dai riformisti dem) e invece vota sì alla condanna delle deportazioni dalla Palestina contenute nei testi degli stessi due partiti.
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