Con la riabilitazione politica dell’ex premier Silvio Berlusconi completata, dopo l’elezione a eurodeputato e il saluto affettuoso del premier Mario Draghi alle consultazioni, i suoi sostenitori azzardavano persino l’ipotesi di una candidatura al Quirinale.

E invece tra le vicende giudiziarie del processo Ruby ter in cui è imputato per corruzione di testimoni e la riforma del testo sui servizi media audiovisivi, tutti i nodi dell’era berlusconiana stanno riemergendo, venendo al pettine. Solo che il pettine in questo caso è anche quello del governo.

Ieri con una dichiarazione depositata al presidente della settima sezione penale del tribunale di Milano, Berlusconi ha rifiutato di sottoporsi alle perizie richieste dai giudici nel processo Ruby ter, che includevano anche una perizia psichiatrica.

«L'ipotesi di sottopormi ad una ampia ed illimitata perizia psichiatrica da parte del tribunale dimostra, per ciò che ho fatto nella vita in molteplici settori fra cui l'imprenditoria, lo sport e la politica, un evidente pregiudizio nei miei confronti e ben mi fa comprendere quale sarà anche l'esito finale di questo ingiusto processo», ha scritto l’ex primo ministro italiano che ha invitato il tribunale a procedere senza di lui.

Dopo aver spiegato di considerare la richiesta «lesiva» della sua storia e della sua onorabilità, Berlusconi ha insistito ripetutamente sulla decisione di non partecipare al processo: «Si proceda, dunque, in mia assenza». E ancora poche righe più sotto: «Esprimo, dunque, il mio pieno consenso che il processo si celebri in mia assenza».

La perizia, secondo quanto riportato dalle agenzie, è stata rapidamente annullata, la decisione di non partecipare al dibattimento è rimasta, come il rischio che il macigno del conflitto tra Berlusconi e le toghe ripiombi sulla scena politica italiana.

Le richieste dell’Antitrust

Nel frattempo il governo Draghi deve affrontare anche le richieste dell’Antitrust che chiede all’esecutivo e al parlamento di aprire finalmente il mercato dei media e degli audiovisivi alle analisi dell’authority per la concorrenza.

Il parere riservato dell’Antitrust è arrivato nelle caselle mail del presidente del consiglio Mario Draghi, del ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, di quello della Cultura Franceschini e oltre che della presidenza di camera e senato dei presidenti delle commissioni competenti.

Il parlamento sta infatti esaminando la norma con cui il governo recepisce la direttiva europea sui servizi media audiovisivi del 2018, una riforma attesa che doveva essere varata entro il 2020 e divenuta ancora più urgente quando un anno fa la Corte di giustizia Ue ha ritenuto incompatibile con il diritto europeo le norme del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici erede della legge Gasparri. La Corte aveva infatti dato ragione a Vivendi che si era vista bloccare la partecipazione in Mediaset per una supposta violazione del pluralismo regolata da una legge che per il diritto europeo era profondamente inadeguata.

Sono passati dodici mesi, nel frattempo è stato confezionato un emendamento salva Mediaset che continuava a dare potere all’Agcom sul caso, Mediaset e Vivendi hanno trovato un accordo per cessare le ostilità. Eppure, a leggere il parere dell’authority antitrust sulla norme in discussione, siamo punto e a capo: si sottrae ancora una volta un mercato cruciale come quello dei media ai metodi e alle analisi della disciplina antitrust.

All’articolo 51 del testo, scrive infatti l’Authority, si dà a una autorità come l’Agcom la competenza per accertare «posizioni di significativo potere di mercato lesive del pluralismo nel sistema integrato delle comunicazioni (...) senza che l’Autorità antitrust sia coinvolta – neppure a livello consultivo» .

Il potere discrezionale dell’Agcom, una autorità la cui nomina è ben più legata alla politica e negli ultimi anni spesso alla politica di segno berlusconiano, è stato persino aumentato.

«Occorre altresì sottolineare che tale nuova disposizione attribuisce all’Agcom una discrezionalità non presente nella precedente versione della norma, come noto oggetto di censura da parte della Corte di giustizia» Ue, scrive l’Antitrust.

Di fronte un mercato «caratterizzato da un’offerta commerciale sempre più ibrida e da tutele estese ai consumatori su nuove piattaforme», sottolinea, bisognerebbe avere norme e assetti istituzionali chiari.

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