Dopo le due giornate campali di Camera e Senato, ieri è stato il giorno della riflessione per Italia viva. Oggi è in programma la riunione dei gruppi renziani, per rinserrare le file ma soprattutto per organizzare le prossime mosse. L’obiettivo è di far pesare la propria uscita dalla maggioranza nei luoghi chiave della vita parlamentare: la riunione dei capigruppo e le commissioni.

I fronti caldi sono la commissione affari costituzionali della Camera, dove è ferma la legge elettorale, le commissioni giustizia dove sono incardinate la riforma del diritto civile e del diritto penale, e la commissione finanze di Montecitorio, da cui dovrà passare il Recovery fund, presieduta dal renziano Luigi Marattin.

I numeri delle commissioni sono risicatissimi per la maggioranza. E, viene fatto notare dai parlamentari di Italia Viva, «le commissioni funzionano tutti i giorni, hanno orari impegnativi e spesso a mancare sono i commissari membri del governo», quindi il rischio di intoppi e incidenti è dietro l'angolo. 

Tutto, però, si regge su un delicato equilibrio: Italia viva farà passare o darà battaglia sulle singole proposte di legge, ma deve stare attenta a non formare un fronte compatto con l’opposizione di centrodestra.

Il primo terreno di scontro Matteo Renzi lo ha già indicato: la prossima settimana Italia viva voterà contro la relazione sulla giustizia del ministro Alfonso Bonafede e sarà il preludio della guerriglia che verrà condotta nelle commissioni, per smantellare l’impianto «giustizialista» delle misure sul tema contenute nel Recovery plan. Il problema dei renziani, tuttavia, è che il gruppo è compatto nel voto contrario sugli atti neutri, ma rischia defezioni in quelle votazioni che potrebbero mettere in difficoltà l’esecutivo, come una eventuale nuova mozione di sfiducia al ministro.

C’è poi il fronte del ddl penale che nelle prossime settimane concluderà il suo iter in commissione alla Camera e che è uno degli architravi del piano della giustizia del ministro incluso anche nel Recovery plan.

La commissione giustizia è presieduta dal grillino Mario Perantoni, quindi la maggioranza dovrebbe riuscire a evitare imboscate nel passaggio del testo sul processo penale. Sulla giustizia, però, il rischio vero potrebbe presentarsi ogni volta che un testo arriva in aula e viene votato a scrutinio segreto.

L’incognita nuovo gruppo

C’è poi il problema della gestione delle commissioni. Qui la questione principale è la possibilità che i “costruttori” che hanno puntellato il governo Conte bis dopo l’uscita dalla maggioranza di Italia viva, diano vita a un gruppo autonomo a palazzo Madama. La nascita di un gruppo autonomo a sostegno del governo, infatti, produrrebbe una correzione delle proporzioni dei membri delle commissioni, perché il regolamento del Senato prevede che ogni componente sia rappresentata.

Dunque alcuni renziani dovrebbero lasciare i loro posti chiave e questo permetterebbe alla maggioranza di non correre troppi rischi. Lo stesso regolamento, però, prevede anche che un nuovo gruppo possa essere creato solo utilizzando un simbolo che è stato presentato e votato alle passate elezioni. Questo restringe la rosa a sole tre ipotesi: il Psi di Riccardo Nencini, il cui simbolo attualmente è in “prestito” a Italia viva; l’Udc di Lorenzo Cesa e Idea di Gaetano Quagliariello.

L’ipotesi Psi è di difficile attuazione perché sottrarre il simbolo a Renzi vorrebbe dire far confluire Italia viva nel gruppo misto, creando ulteriore scompiglio nella maggioranza. L’Udc è ancora saldamente legato al centrodestra: nonostante forti pressioni provenienti anche da Oltretevere, i cristiano-democratici per ora non intendono spostarsi.

Entrare in un gruppo raccogliticcio sarebbe un azzardo, per una compagine che governa in Sicilia con il centrodestra e punta a giocare un ruolo anche nelle prossime importanti amministrative di Roma, Milano e Napoli. Un ragionamento analogo varrebbe anche per Idea.

La nascita di un nuovo gruppo, pur risolvendo una parte dei problemi legati alle commissioni, potrebbe complicare la vita del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. La sostituzione di Italia viva con una nuova forza “istituzionalizzata” in parlamento a cui assegnare magari anche ministri e sottosegretari imporrebbe al premier di salire al Quirinale per informare Sergio Mattarella della nuova maggioranza e dare il via a una crisi pilotata, dunque a un Conte ter.

L’ipotesi di un nuovo gruppo sarebbe la preferita di Partito democratico, ma palazzo Chigi punta a evitarla a tutti i costi. Anche perché sarebbe complicato per Conte non venire considerato il leader del nuovo gruppo, rischiando così di far deflagrare le tensioni interne ai Cinque stelle.

 

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