La banca esce allo scoperto dopo le condizioni fissate dal governo sull’offerta lanciata su BancoBpm: «Possibili danni a sana gestione». Tensione tra alleati: il vicepremier motiva la resa con la volontà di salvare il governo. Ma FI esce a pezzi, e gli investitori sono preoccupati
È trascorso un weekend di valutazioni sulla risposta da dare. Poi Unicredit, superate le festività pasquali, ha dovuto replicare con durezza.
L’amministratore delegato, Andrea Orcel, ha preso atto che nel governo ha stravinto la linea del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, in asse con il leader del suo partito, Matteo Salvini, e con l’avallo della premier Giorgia Meloni consigliata dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Una disfatta per il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani.
Contrattacco Unicredit
L’istituto, con sede in piazza Gae Aulenti, a Milano, ha messo nero su bianco le perplessità sull’uso del golden power da parte del governo.
L’intervento, con un dpcm ad hoc, ha fissato rigide condizioni sull’offerta pubblica di scambio (ops) lanciata da Unicredit su BancoBpm.
«L’uso dei poteri speciali in un’operazione domestica tra due banche italiane non è comune e non è chiaro perché sia stato invocato in relazione a questa specifica operazione, ma non per le altre operazioni simili attualmente in corso sul mercato italiano», si legge nella nota dell’istituto di credito. Quindi, specifica la banca di piazza Gae Aulenti, «non è in grado di prendere alcuna decisione definitiva sulla strada da seguire in merito all’offerta».
Da qui la richiesta di incontro a palazzo Chigi. La banca guidata da Andrea Orcel, insomma, denuncia una disparità di trattamento, rispetto all’ops di Monte dei paschi di Siena su Mediobanca.
La svolta statalista ha comunque prodotto una ricaduta pesante: ha spaventato gli investitori internazionali, che vivono con preoccupazione l’orbanizzazione del governo Meloni. Lo stato agisce come un attore economico. Relegando all’angolo il libero mercato.
Nella maggioranza non sono state smaltite le tossine. Tajani aveva chiesto di non usare il golden power. Ma Giorgetti ha imposto la posizione caldeggiata da Fazzolari e quindi da Meloni.
«Abbiamo messo agli atti il nostro malumore. I paletti sono così stringenti che disincentivano l’offerta», ammettono da FI. Unicredit ha sottolineato come le prescrizioni previste «potrebbero danneggiare la sua piena libertà e capacità di adottare decisioni conformi ai principi di sana e prudente gestione in futuro».
Per Tajani è una sconfitta politica pesante. La svolta iperstatalista mal si concilia con la professione di liberalismo per il partito fondato da Silvio Berlusconi. Peraltro, come ribadiscono a Domani fonti di Forza Italia, «i tecnici della Farnesina hanno spiegato più volte l’impossibilità a usare il golden power». Si dovrebbe usare per controllare gli asset fondamentali da assalti esteri non per osteggiare operazioni di libero mercato.
Boccone indigesto
Le argomentazioni non hanno fatto breccia. Il Mef, fin dal lancio dell’offerta di Unicredit, aveva agitato lo spauracchio dei poteri speciali attribuiti al governo. Tajani ha motivato la resa, spiegando che era inevitabile per «non far cadere il governo».
Ha descritto ai suoi uno scenario apocalittico per giustificarsi. D’altra parte, per la prima volta, è stata sdoganata la locuzione «caduta del governo», che fotografa il livello di tensione tra alleati.
Fatto sta che FI ha mandato giù il boccone. Non ci sarà un rilancio politico sulla vicenda. Gli occhi sono puntati sulle autorità di vigilanza. Dalla Banca d’Italia, però, le bocche sono cucite: «Nessun commento su operazioni in corso».
Solo che nel governo non c’è alcuna intenzione di arretramento: Giorgetti è convinto della bontà della sua strategia, trovando d’accordo Salvini e Meloni, puntando sulla scalata di Mps a Mediobanca – con lo sguardo rivolto al controllo di Generali – per avere una banca di stato. Tajani ha cercato di far circolare qualche spin positivo, rivendicando la parziale vittoria sulla modifica delle prescrizioni sulle attività in Russia: il testo del governo, in un primo momento, imponeva che la presenza cessasse entro la data di acquisizione di BancoBpm. Il dpcm concede ora un margine di nove mesi. Il compromesso è un pannicello caldo rispetto alla lista di doveri «non chiari» presentata dal governo verso la banca guidata da Orcel.
Se Tajani e Forza Italia avessero voluto ottenere qualcosa avrebbero dovuto impuntarsi. Il passo indietro è invece definitivo. Anche dinanzi alla presa di posizione di Unicredit, FI ha risposto con il silenzio. Nessun commento, nessuna nota stampa.
«Il decreto è ormai fatto», ammettono sconsolati nell’inner circle di Tajani. Il ministro degli Esteri ha quindi optato per ritirata dal fronte di battaglia Unicredit. E questo lo indebolisce nel rapporto con gli alleati. Prestando il fianco all’offensiva di chi ambisce a prendere i voti dei liberali.
C’è una questione di credibilità, secondo +Europa che porterà in parlamento la vicenda con un’interrogazione alla Camera, denunciando «il conflitto di interessi e di fatto l’abuso del potere di regolamentazione». «Il ministro Giorgetti», dice il deputato +Eu, Benedetto Della Vedova, «in questa partita è contemporaneamente arbitro e giocatore, e ha deciso di intervenire a gamba tesa contro quello che considera, evidentemente, un avversario, usando i poteri dell’arbitro».
© Riproduzione riservata