Dal titolare degli Esteri una generica condanna di Netanyahu, ma nessun impegno, neanche con gli altri leader europei. Toni duri da Pd, M5s e Avs. «Il 7 manifestazione in piazza San Giovanni». Il capo di Azione: garanzie contro l’antisemitismo
L’unica cosa che riescono a fare insieme maggioranza e opposizione ieri mattina, prima alla Camera poi al Senato, è il minuto di silenzio per le vittime civili palestinesi e israeliane. Lo chiede Antonio Tajani all’inizio delle informative sul Medioriente. Poi però le due aule si spaccano. Il ministro degli Esteri non usa le blande parole della premier Meloni sulla carneficina di Netanyahu ai danni dei civili gazawi («Non le condivido»).
Spinge un po’ di più: «La legittima reazione del governo israeliano a un terribile e insensato atto terroristico, sta assumendo forme drammatiche e inaccettabili», a cui aggiunge un generico «i bombardamenti devono finire, l’assistenza umanitaria deve riprendere al più presto, il rispetto del diritto internazionale umanitario deve essere ripristinato». Ma non prende impegni. E si volta verso la sinistra dell’emiciclo mentre parla del «virus dell’antisemitismo». Alla quale chiarisce che l’Italia non ritirerà l’ambasciatore da Tel Aviv. Tace del fatto che il governo, in sede europea, ha detto già no alla sospensione degli accordi di associazione Ue-Israele. Quello che invece ieri il premier spagnolo Sanchez ha di nuovo chiesto, insieme a sanzioni e all’embargo sul commercio di armi.
Poco, e tardi
Per le opposizioni è troppo poco. Anche troppo tardi, secondo Peppe Provenzano (Pd): parole buone «19 mesi fa, 50 mila morti fa», «l’unico vero aiuto umanitario è fermare Netanyahu», dice. Mentre parla, il ministro ridacchia con i colleghi. Spiegherà che è «quando mi insultano sorrido». In realtà lì Provenzano gli stava dicendo: «Non siete amici di Israele, siete amici di Netanyahu, come il ministro Salvini che gli è andato a stringere quelle mani sporche di sangue». Riccardo Ricciardi, M5s, alza ancora di più i decibel: parla di «squallore politico, morale e intellettuale» della maggioranza, preconizza a tutti una condanna «come complici del genocidio». Nicola Fratoianni, di Avs, si ribella al sospetto di antisemitismo, «allusione pelosa e insultante nei confronti di chi ha detto no al genocidio» – il Pd non usa però la parola genocidio – «quelli come noi vengono da una storia politica che ha sempre considerato l'antisemitismo il peggiore dei mali, dalle parti del suo governo e della sua maggioranza non tanti possono dire lo stesso».
A chiedere di più al governo, proprio come il 21 maggio a Montecitorio nelle mozioni sul Medioriente, sono anche le opposizioni moderate. Parlano Ettore Rosato (Azione), Davide Faraone (Iv) e Benedetto Della Vedova (+Europa). Al Senato Carlo Calenda: «Israele va sanzionato e va riconosciuto lo stato di Palestina».
Ma il governo non risponde, che è un modo per rispondere no. Come farà più tardi, nel question time, il ministro Ciriani ad Angelo Bonelli, che lo interroga sul fatto che alla base di Amendola (Foggia), gli F35 israeliani fanno esercitazioni con caccia italiani. «Accogliete i bambini negli ospedali italiani ma aiutate i caccia di Netanyahu che poi uccidono i bimbi di Gaza», è l’amara costatazione del deputato. Per il ministro la cooperazione militare è «strumento di dialogo con Israele per portare la pace».
La piazza del 7 giugno
Il sottotesto della giornata è la manifestazione lanciata da Pd, M5s e Avs il prossimo 7 giugno a Roma, alla vigilia di referendum, giorno di silenzio elettorale sui quesiti. Nel pomeriggio Schlein, Conte, Bonelli e Fratoianni insieme annunciano che la piazza sarà San Giovanni. Molto grande, misura della partecipazione che prevedono. La piattaforma è la mozione unitaria già presentata in aula dai tre partiti.
Sinistra per Israele, associazione vicina ai dem, ha chiesto di aggiungere parole più esplicite contro l’antisemitismo e la solidarietà attiva verso gli israeliani che si oppongono al governo e verso i palestinesi che si oppongono a Hamas. Invece la piattaforma resta quella.
Calenda prova fino all’ultimo a non strappare, spiega a Tagadà (La7), «ho detto che volevo partecipare, ho chiesto di scrivere una piattaforma dura su Israele ma che evitasse di far scappare di mano la manifestazione. Fratoianni mi ha detto di no. Ho riparlato con Schlein e lei mi ha detto che ci provava». Non deve esserci riuscita, perché più tardi fonti di Azione fanno sapere che Calenda e Renzi stanno pensando a un’iniziativa a Milano, il 6 giugno: contro le azioni del governo di Tel Aviv, ma contro l’antisemitismo e chi professa la distruzione dello stato di Israele.
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