Nell’Italia del caso Caputi, il capo di gabinetto di palazzo Chigi spiato dai servizi segreti interni e della vicenda Paragon, ancora tutta da chiarire, gli 007 stanno per ricevere i pieni poteri. Consegnati dal manifesto securitario del governo: il disegno di legge sulla Sicurezza.

La norma Mantovano, definita così perché molto gradita al sottosegretario con delega ai servizi, è inserito in quel ddl e “non s’ha da toccare”. L’ordine è perentorio. Le agenzie per la sicurezza, Aisi (interno) e Aise (estero), sotto l’egida del Dis (il dipartimento di raccordo con palazzo Chigi) devono avere mano libera. Il raggio di azione si amplia a dismisura. Fino al potenziale fatto di richiedere pretendere di conoscere le fonti dei giornalisti.

Il pericolo è quello di indebolire anche la libertà di informazione. La norma ­«può colpire anche presidi importanti dell'informazione, del servizio pubblico Rai ma anche dei media concessionari, Mediaset ed altri, per esempio, che saranno obbligati a rispondere a eventuali richieste di servizi di intelligence, consegnando banche dati, taccuini, rivelando fonti di giornalisti e delle redazioni e perfino contatti e itinerari degli inviati di guerra», denuncia il senatore del Pd, Walter Verini.

Scandali ignorati

Il progetto è un dirittura d’arrivo dopo il via libera delle commissioni affari costituzionali e giustizia del Senato, basta un ultimo passaggio: il via libera dell’aula. La norma nasce da lontano, nel novembre 2023, un po’ a fari spenti, quando il consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge Sicurezza con la firma del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi

Nel lungo iter parlamentare, la norma non è stata mai scalfita. È una delle pietre angolari del ddl. E si poteva anche capire il disinteresse, sembrava qualcosa di lunare. Nel frattempo, però, sono accadute molte cose, basta legge alla voce “scandali” dell’intelligence italiana.

Su tutti la vicenda, raccontata da Domani, degli accessi dell’Aisi, l’agenza di sicurezza interna, per verificare i rapporti del capo di gabinetto di palazzo Chigi. La notizia ha solo scatenato una guerra con il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi. Ma né la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, né il suo sodale Mantovano si sono mai espressi nel merito della questione, dell’enormità di una quesito irrisolto: non crea preoccupazione il controllo dei servizi segreti sul capo di gabinetto della premier?

Invece si fa più: dal giorno dopo l’approvazione del ddl Sicurezza, gli 007 potranno compiere verifiche a tappeto. Lo mette nero su bianco ul dossier del Senato, non i nemici della maggioranza. «Le condotte scriminabili, previste dalla legge come reato, che tuttavia il personale dei servizi di informazione per la sicurezza può essere autorizzato a porre in essere La norma rende obbligatoria», scrivono i tecnici di palazzo Madama.

Insomma, in nome della ragion di stato si potrà non rendere conto di condotte potenzialmente illecite compiute dagli agenti. E poi c’è l’introduzione dell’obbligo inderogabile di «collaborazione - ed  anche l’assistenza, non prevista dalla norma vigente - che gli organismi di sicurezza eventualmente richiedono alle pubbliche amministrazioni», si legge ancora nel dossier del Senato.

E ancora: «Viene ampliato il novero dei soggetti tenuti a prestare la collaborazione, estendendo tale obbligo alle società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico». Nell’Italia in cui nessuno ha saputo fornire spiegazioni sul caso Paragon, lo spyware finito nei telefonini – tra gli altri – del direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, e dell’attivista per i diritti umani, Luca Casarini. Sul caso alta si leva la cortina fumogena con un rimpallo delle negazioni delle responsabilità. «Dopo la vicenda dello spionaggio ai danni di attivisti e giornalisti con lo spyware di Paragon Solution, questo provvedimento appare ancora più pericoloso», evidenzia il senatore di Alleanza verdi-sinistra, Peppe De Cristofaro.

Modifiche rimandate

La svolta è molto vicina. Il ddl Sicurezza, nonostante le proteste della società civile, sta per arrivare nell’aula del Senato così come era arrivato dalla Camera. Nessuna modifica, la maggioranza ha respinto compatta qualsiasi proposta avanzata dalle opposizioni in un tour de force parlamentare. Se dovesse passare il testo in assemblea, il testo diventerebbe legge.

Con tanti saluti anche alle rimostranze del Quirinale su alcune norme, come quella sulle madri detenute e il divieto di acquisto delle schede telefoniche per i cellulari da parte dei migranti irregolari. «Arriveranno degli emendamenti del governo direttamente in aula. Così era previsto fin dall’inizio», fanno sapere fonti di governo confermando la tesi che circola in parlamento. A quel punto il ddl Sicurezza dovrebbe tornare alla Camera per la terza lettura, allungando i tempi di entrata in vigore.

Le opposizioni, quindi, guardano con sospetto alle mosse della destra. L’ultimo vertice sul ddl sicurezza a palazzo Chigi risale a due mesi fa. In quella sede è stato assunto l’impegno, anche per rispetto ai rilievi informali mossi dal Colle, di fare modifiche. Con una certezza: eventuali cambiamenti, comunque, non contemplano il ritocco della norma Mantovano.

A meno di ripensamenti. Si attendono i fatti. Sullo sfondo c’è la Lega, sempre più famelica: dopo aver riportare Giorgia Meloni su posizioni più filo-trumpiane e critiche verso l’Unione europea, vogliono passare di nuovo all’incasso. Salvini vuole rivendicare il ddl Sicurezza come una sua vittoria. 

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