Recuperare consensi nel mondo del lavoro non sarà una passeggiata di salute, per il segretario del Pd Enrico Letta, e non solo sul fronte dei lavoratori ma anche e forse soprattutto su quello degli imprenditori. Tanto più per un partito che nasce nel 2008, con il mito fondativo veltroniano di «un patto tra produttori e lavoratori», mito che smuove ancora qualche suggestione nell’ala riformista.

Ieri intanto a fare le spese di aver giusto nominato la «questione salariale» è stato il ministro del Lavoro Andrea Orlando. Si è trovato sotto attacco sulla prima pagina del Sole 24 Ore, il giornale di Confindustria, per la proposta, fatta peraltro giorni prima, di «lavorare per un accordo che, a fronte di un’esigenza indiscutibile di aiutare le imprese a far fronte all’aumento del costo dell’energia e delle materie prime, impegni le parti sociali a garantire un aumento salariale, a partire dal rinnovo dei contratti ancora aperti». Un aumento degli stipendi più bassi a iniziare dai contratti scaduti, quasi banale.

Ma l’idea è considerata «un ricatto» da Carlo Bonomi, numero uno di viale dell’Astronomia. Il quale tiene per un «patto per l’Italia» che forse non prevede aumenti salariali, o non così. E infatti dice che «proposte del genere mostrano, per l’ennesima volta, il sentimento anti industriale che pervade l’Italia». Il ministro raccoglie la solidarietà di tutto il suo partito, Letta in testa. Del resto Orlando non è nuovo a botta e risposta con l’interlocutore.

«Ricatto? Ho detto una cosa molto semplice, un patto è se ognuno mette una disponibilità. La mia non mi sembrava una proposta eversiva. Sorprende la reazione perché dà l’idea di una inconsapevolezza di quello che si può produrre nel paese nei prossimi tempi. Noi rischiamo la crisi sociale e una caduta della domanda interna», in ogni caso «tra uno che non rinnova un contratto e uno che lo rinnova il trattamento deve essere lo stesso dal punto di vista fiscale, degli aiuti, dell’accesso alle gare?».

Accorciare le distanze

La polemica cade proprio nel giorno che Letta ha consacrato al tema dei salari. Nel pomeriggio deve parlare a Napoli insieme a Maurizio Landini, leader della Cgil, in un’iniziativa politico-sindacale. Ma la mattina al Nazareno il suo vice Peppe Provenzano ha organizzato una riflessione molto operativa sulle «retribuzioni giuste, la dignità del lavoro e salario tra crisi e transizione». L’ha chiesto il segretario Pd per provare ad accorciare le distanze fra il suo partito e il mondo del lavoro. Anche perché tutte le stime e i sondaggi dicono la stessa cosa: gli italiani sono preoccupati in primis dagli effetti nelle proprie tasche della guerra, della crisi energetica e delle sanzioni contro la Russia.

Così Provenzano ieri ha invitato al terzo piano della sede, quello con la bella terrazza sul barocco romano, un parterre di specialisti per l’Agorà numero 527 dall’inizio della serie, la numero 171 dall’inizio della guerra della Russia contro l’Ucraina, e la numero 97 sul tema del lavoro. Il segretario dà il benvenuto agli ospiti di riguardo: lo stesso Landini e Pier Paolo Bombardieri della Uil (c’è un anche un rappresentante cislino, ma il segretario Sbarra aveva un altro impegno), il ministro Orlando. Il primo intervento è della statistica Linda Laura Sabadini, direttrice di un dipartimento dell’Istat, collegata da remoto.

Per gli osservatori attenti ci sono anche due eventi nell’evento. Il primo, ma è per gli amanti del genere, è l’arrivo di una delegazione di Art.1, l’alleato più fedele del partito della casa, il partito che prende il nome dall’articolo della Costituzione che sostiene che la Repubblica è «fondata» sul lavoro. Per la precisione è la prima volta che il ministro Roberto Speranza, segretario appena riconfermato, rimette piede al Nazareno dopo la scissione del 2017 di Art.1. Le due forze, quella grande e quella piccola, sono in fase di avvicinamento. «È un piacere vedere il ministro Speranza tornare nella sede del Pd per discutere con noi», dice Provenzano con un po’ di malizia. Speranza subito si schiera con Orlando sulla questione dei salari. Con lui sono arrivati Cecilia Guerra, sottosegretaria all’Economia, il responsabile del Lavoro Piero Latino e il deputato Nico Stumpo, ai tempi il potente responsabile dell’organizzazione della segreteria di Bersani.

Salari inchiodati

L’altro evento nell’evento è invece tutto interno: si parla di salari e anche di leva fiscale, ed è presente e in forze anche l’anima riformista del partito, dall’eurodeputata Elisabetta Gualmini all’economista Tommaso Nannicini. Segno di una quadra trovata sulla questione anche all’interno del partito.

«Siamo stati i più duri contro l’aggressione di Putin e la guerra della Russia contro l’Ucraina ma adesso dobbiamo essere i più radicali nel farci carico delle conseguenze sociali della crisi», spiega Provenzano, «anche per non regalare ai populisti, anzi chiamiamoli con il loro nome di nazionalisti i temi su cui rianimarsi». Il riferimento diretto è alle recenti elezioni presidenziali francesi, e alla sconfitta di Marine Le Pen, una sconfitta che però contiene un insidiosissimo avanzamento di consensi.

Le slide illustrano il fatto che i salari nel nostro paese restano inchiodati mentre i conti del Pnrr sballano per i costi della guerra. «È evidente che esiste una questione sociale e noi vogliamo metterla al centro», dice Letta, «i salari italiani sono i più bassi in Europa e oggi questa debolezza strutturale a cui si aggiunge precarietà avviene in un momento in cui inflazione è arrivata a livelli di allarme rosso». La piattaforma del Pd è a diverse velocità, alcune proposte saranno consegnate al governo Draghi, dal blocco del prezzo dell’energia («se poi ci sarà bisogno faremo uno scostamento di bilancio») a misure per la protezione del potere d’acquisto delle retribuzioni. Ma per la natura di questa maggioranza è evidente che molte delle proposte dovranno aspettare tempi migliori, sempreché arrivino.

Primo, la leva fiscale: estendere il taglio dei contributi per i redditi più bassi, e un impegno una tantum per recuperare il potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Secondo, salario minimo sul modello tedesco, con una legge per debellare la miriade dei “contratti pirata”. Terzo, combattere la precarietà e la «mala occupazione», come la chiama Provenzano, rendendo strutturale un vantaggio fiscale per le assunzioni a tempo indeterminato. Restano le urgenze. Landini avvisa che «i rinnovi contrattuali si devono fare sull’inflazione reale». E poi c’è una questione generale, «da noi tassiamo più il lavoro che la rendita finanziaria, non esiste da nessun ‘altra parte». Letta ascolta.

Il Pd non è abituato a farsi dare dell’anti-industriale da Confindustria. Ma se vuole imboccare questa strada ha avuto il suo primo “avviso” a mezzo Orlando: «Il ministro del lavoro del Pd non ricatta nessuno», replica il segretario, «c’è la volontà di porre una questione a tutto campo di lavoratori e imprese. Il titolo del Sole 24 Ore è inaccettabile».

© Riproduzione riservata