Sono tempi duri per i centri sociali, in tutta Italia. Lo Zapata di Genova, il più antico in città, è sotto sfratto e ha i giorni contati. Torino sta vivendo mesi di sgomberi, perquisizioni, denunce. A Bologna si ripetono invasioni di edifici e interventi della polizia. E pure a Napoli, dopo anni favorevoli alle autogestioni, è tornata la tensione. In una fase politica segnata dallo sciopero della fame in carcere dell’anarchico Alfredo Cospito e da manifestazioni anche violente in suo sostegno, sono frequenti le accuse di legami dei centri sociali con l’area anarchica.

La politica ha gioco facile nell’attaccare il fenomeno dei centri sociali nel suo complesso, trovando appoggio in un governo Meloni molto sbilanciato a destra. Già con il decreto rave, lo scorso autunno, le intenzioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi erano chiare: «Tolleranza zero verso le occupazioni».

I centri sociali oggi: 187 in tutta Italia

Il Viminale monitora il fenomeno, che in Italia è presente soprattutto nelle aree metropolitane e riguarda quasi esclusivamente l’area «antagonista»: un termine poco apprezzato da una galassia di sinistra molto eterogenea, che non ama stare sotto un unico cappello. Al suo interno ci sono infatti posizioni marxiste, leniniste e anarchiche; movimenti studenteschi, collettivi di femministe, istanze antifasciste, antiproibizioniste e di lotta alla repressione; frange di ambientalismo radicale; oppositori a opere come il Tav in Piemonte o il sistema di comunicazione militare Muos in Sicilia.

I militanti di queste realtà sono difficili da calcolare, ma secondo l’opinione delle questure sono «migliaia». Nel 2019 i centri sociali autogestiti erano 165, 78 quelli occupati. A febbraio 2023, secondo i dati del Ministero dell’Interno, questi ultimi sono scesi a 71. Il 10 per cento in meno. Il totale invece è salito a 187, il 13 per cento in più: a crescere sono i centri sociali legali che hanno sede in edifici in base ad accordi con i proprietari, pubblici o privati. «Da anni la tendenza delle prefetture è tollerare sempre meno le illegalità», fanno sapere dal Viminale. La politica è concorde: gli sgomberi sono bipartisan, così come le proposte a chi occupa di scendere a patti.

Genova, sgomberi bipartisan

Genova è un esempio di questa politica trasversale nella gestione degli spazi occupati. La quiete si ruppe nel 2014 sotto il sindaco di centrosinistra Marco Doria, con lo sgombero del Buridda da un edificio comunale oggi ancora abbandonato dopo nove anni. Il comune negò la responsabilità dello sgombero, ma l’episodio resta uno dei simboli della frattura tra la sinistra genovese e i suoi rappresentanti politici.

L’attuale giunta di centrodestra del sindaco Marco Bucci ha promesso «l’eliminazione dei centri sociali», in coerenza con il sostegno di Lega e Fratelli d’Italia. E sta mantenendo la parola: dopo lo sgombero del Tdn per far spazio a un’isola ecologica ora tocca allo Zapata, protagonista da 30 anni nella scena musicale del ponente industriale di Genova.

Il Csoa Zapata nacque negli anni Novanta come occupazione studentesca in un edificio fatiscente, i Magazzini del Sale di Sampierdarena. Nel frattempo il comune è diventato proprietario dello stabile e lo ha recuperato: oggi contesta più di 100mila euro di debiti agli occupanti e a gennaio ha dato loro un mese di tempo per andarsene. I tempi sono scaduti, ma lo sgombero non è ancora arrivato anche per la mobilitazione di migliaia di genovesi e artisti come Zerocalcare, Caparezza e Bandabardò. Il comune ha proposto sedi alternative «a patto che lo Zapata diventi un’associazione», ha detto il sindaco Bucci; al tempo stesso ha sminuito le proteste in suo sostegno, definendo “un corteo anarchico” le 1500 persone – tra cui associazioni, musicisti e famiglie - scese in piazza a febbraio per sostenere lo Zapata.

Quando governa la sinistra

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L’incertezza per il futuro dei centri sociali regna anche a Torino, città guidata da un centrosinistra che davanti all’ipotesi di sgomberi si è frantumato in tre posizioni tra il rifiuto della sinistra ambientalista, il possibilismo del Pd, l’incoerenza dei Cinque stelle.  A destare maggiore preoccupazione è il centro sociale Askatasuna, che è legato all’area dell’Autonomia e occupa dal 1996 un edificio comunale nel quartiere Vanchiglia.

«È in corso una ricognizione, per valutare le condizioni di sicurezza degli immobili occupati di proprietà del comune», spiega la vicesindaca Michela Favaro. In città non si escludono quindi sgomberi in futuro, ma a una condizione: «Servono progetti di riutilizzo. In passato ci sono stati immobili sgomberati, rioccupati, risgomberati, infine murati e finiti in mano al degrado. Lo sgombero fine a sé stesso non serve a niente». Quest’inverno intanto gli interventi della questura non sono mancati: dopo lo sgombero di Edera Squat a del circolo occupato La Crepa, a fine gennaio la perquisizione del centro sociale Askatasuna si è chiusa con più di 30 denunciati. A inizio aprile è stata occupata e subito sgomberata un’ex caserma abbandonata in cui si progetta un supermercato.

Le tensioni ci sono anche in altre città di centrosinistra come Firenze, dove lo scorso anno è stato sgomberato un centro sociale di area anarchica; l’eliminazione del Cpa Firenze Sud, occupato dal 1989, è stata chiesta dal consiglio comunale nel 2018 su input della destra e voto favorevole di Pd e Cinque stelle, senza risultati. Con l’ex sindaco del Pd, Virginio Merola, Bologna ha vissuto anni di sgomberi: a cadere dal 2015 in poi sono stati Atlantide, Làbas, Crash e Xm24. Làbas e Crash si sono accordati con le istituzioni ed esistono ancora, i militanti più intransigenti sono confluiti nel collettivo Infestazioni e si barcamenano tra occupazioni e sgomberi.

A Napoli invece la politica di favore sui centri sociali dell’ex sindaco Luigi De Magistris è un’eredità pesante. Sotto l’amministrazione giallorossa di Gaetano Manfredi si è tornato a parlare di sgomberi e nel mirino sono finiti i centri giovanili Sgarrupato ed Eta Beta, che secondo l’amministrazione non rispettano le regole per cui si sono aggiudicati la sede: ma grazie al sostegno dei centri sociali, i due centri giovanili sono ancora al loro posto.

Dalle occupazioni alle elezioni

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A interessarsi ai centri sociali non è però solo la politica che ottiene consenso tra chi li vuole favorire o annientare, e nemmeno gli investigatori che al loro interno cercano «pulsioni antisistema». Quell’area è anche studiata per la sfuggevolezza e la scarsa propensione a interagire con il mondo istituzionale.

Il professore Stefano Becucci, che insegna sociologia all’università di Firenze, ha scandagliato la galassia dell’antagonismo in rapporto a un momento spartiacque come il G8 di Genova. Secondo le analisi nei Quaderni di sociologia No global in Italia: identità, opposizione, progetto (2003), l’antagonismo si divideva in tre filoni: «I centri sociali che esplicitamente si richiamano, per programmi e riferimenti ideologici, al marxismo-leninismo», scrive. «Quelli di derivazione anarchica e, infine, i centri che si riconoscono nella rete facente capo al movimento dei Disobbedienti». Questi ultimi, l’evoluzione delle “Tute bianche” che parteciparono al Genoa Social Forum, la rete no global che protestò contrò il G8, sono il soggetto antagonista che più si è aperto alla società esterna.

Quando nei centri sociali si è discusso tra la difesa delle occupazioni in quanto tali e la loro regolarizzazione, si è infatti aggiunta la disponibilità dei Disobbedienti «di intessere relazioni politiche con partiti ritenuti politicamente vicini, come i Verdi e Rifondazione comunista», continua il professor Becucci. Fermo restando la difficoltà di rispettare definizioni rigide per un fenomeno elastico, negli ultimi vent’anni c’è stata un’evoluzione lungo queste strade.

Ci sono centri sociali che hanno difeso a oltranza la propria occupazione, a costo di scomparire; altri che hanno preferito costituirsi in associazioni, per partecipare a bandi e garantirsi la sopravvivenza. E altri ancora che si sono avvicinati alla politica: a tal punto da avere esponenti eletti a tutti i livelli, dai comuni al parlamento.

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