«Ascoltare, capire, lavorare». Erano queste le tre raccomandazioni che Luigi Di Maio ha affidato a una lettera a Repubblica la settimana scorsa. Le direttive sono poi state ribadite dal capo politico del Movimento 5 stelle, Vito Crimi, il quale ha osservato che nelle proteste degli ultimi giorni contro le misure per arginare la pandemia «non ci sono solo atti di violenza. Ci sono timori e preoccupazioni che è nostro dovere tenere in grande considerazione, come sempre». È il tentativo del M5s di riacciuffare una linea politica di qualche tipo dopo un’estate di tregua apparente che ha fatto riaffiorare le diffidenze tra i partner di governo e un inizio d’autunno segnato da manovre in ordine sparso dei membri del governo.

Questioni aperte

Gli esponenti del Movimento nel mirino sono tanti. Prima fra tutti, la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, da mesi oggetto di pesanti critiche per la gestione della riapertura delle scuole. Nelle ultime settimane è stata anche protagonista del conflitto con i governatori di Campania e Puglia, decisi a chiudere anche le scuole rimaste aperte dopo gli ultimi Dpcm: ma a parte le critiche, la ministra non ha ancora proceduto a impugnare nessuna decisione.

Giravolta anche per il viceministro della Salute, che la settimana scorsa ha denunciato in un’intervista alla Stampa «un’ingiustificata corsa ai tamponi» da parte di chi era stato a contatto con un positivo. Una dichiarazione che sembra in piena contraddizione con la strategia del governo di rafforzare il sistema di tracciamento attraverso un aumento del numero di tamponi effettuato (e che non chiarisce quale sia poi effettivamente la strategia da seguire, dopo un contatto con un positivo). Un’altra questione che ha destato non pochi problemi è stata quella della cassa integrazione, arrivata per molti lavoratori con ampio ritardo: un’incombenza che spettava all’Inps, presieduto da Pasquale Tridico, nominato durante il governo Conte I e voluto dalle alte gerarchie dei Cinque stelle. Vanno ricordati anche i mesi complicati del ministro per lo Sport, Vincenzo Spadafora, più volte in difficoltà nella gestione del campionato e nei rapporti con la Serie A, soprattutto nella prima fase della pandemia, quando durante le discussioni sulla ripresa il contrasto con Italia viva si era fatto molto forte.

Alle materie di sua più stretta competenza si era legato anche uno scontro diretto con il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca. Lo spunto era arrivato dall’assegnazione a tavolino della partita Juve-Napoli ai bianconeri a causa della mancata presenza della squadra partenopea. Sulla partenza era infatti calata la scure dell’Asl locale, che aveva vietato il viaggio. Dopo i commenti taglienti del presidente, Spadafora aveva replicato: «Il sistema De Luca ha fallito, mi sembra evidente. Sono molto preoccupato». Un commento che aveva fatto partire una serie di repliche nel mondo del Pd.

I rapporti con i gruppi

«Spadafora lasciamolo perdere», commenta un parlamentare grillino. «C’è stato qualche errore, ma è facile dirlo a posteriori». Insomma, i gruppi sono compatti attorno al presidente, che ieri è stato in parlamento ad annunciare nuove strette sulla base della gravità delle situazioni di ogni regione, con «tre aree corrispondenti a tre scenari di rischio con misure via via più restrittive». La fedeltà è però più al premier, «isolato e bersaglio di chiunque, si deve sobbarcare tutto», che ai ministri e soprattutto al Commissario straordinario per l’emergenza, Domenico Arcuri. Ma deputati e senatori si dicono che è inutile recriminare e che, arrivati a questo punto, bisogna lavorare per l’obiettivo comune. «Avremo un’attenzione altissima alle tempistiche dei ristori per chi ha avuto danni dalle chiusure, adesso aspettiamo i risultati dal governo», spiega il deputato Francesco Silvestri.

Intanto, si cerca di mettere da parte anche lo scarso coinvolgimento del gruppo parlamentare, una scelta comprensibile per quasi tutti ma a cui soprattutto alcuni senatori vogliono mettere un punto. Meno comprensibile secondo i parlamentari resta la strategia della comunicazione di quest’estate, quando, dicono, tornava comodo a tutti spingere per una normalizzazione arrivata troppo in fretta e il messaggio che il peggio fosse ormai passato ha alimentato le speranze di tanti. Un errore grave, che oggi si traduce nello scontento per delle restrizioni percepite come non necessarie dai cittadini.

Travagli interni

Resta poi il tasto dolente degli Stati generali. Rimandati già più volte, all’inizio della pandemia e di nuovo nell’ultimo mese, fino a trovare il compromesso per le date del 14 e 15 novembre, sembra che stavolta sia la volta buona. Sebbene ci sia qualcuno tra i parlamentari che ancora vede possibile un loro rinvio a fine mese per ragioni di opportunità, la raccolta delle proposte dal territorio è ormai partita. Bisogna concludere.

La maggior parte dei “portavoce” arrivati a questo punto ritiene l’appuntamento indispensabile, anche per porre un freno all’incontrastata caduta del Movimento nei sondaggi. I modi in cui i parlamentari sperano di stabilizzare il M5s sono tanti: c’è chi vorrebbe normalizzare il ruolo di Alessandro Di Battista, disinnescando l’immaginario del nemico interno per trasformarlo in una voce fuori dal coro utile a sintetizzare le diverse anime del M5s e chi sottolinea il bisogno di una governance legittimata. Resta forte anche il bisogno di una linea sulle alleanze sul territorio.

Una questione che sulla carta sarebbe già risolta, spiega un deputato, perché il Movimento ha già deciso di valutare di volta in volta l’opportunità di una corsa condivisa: una soluzione che però non scioglie il nodo di Roma, dove rimane in campo la candidatura di Virginia Raggi. Una testardaggine che, tra le altre cose, non dispiace agli attivisti sul territorio, già mobilitati intorno alla sindaca.

 

© Riproduzione riservata