La fiducia del Pd non è in discussione. Ma quando Nicola Zingaretti prende la parola, durante la consultazione della delegazione dem con il presidente incaricato, rimbalza più volte la parola «preoccupazione». «Abbiamo espresso al professor Draghi le nostre preoccupazioni e le nostre proposte», dirà poi il segretario ai cronisti. Le «proposte» sono quelle che il Pd ha fatto da tempo, anche al precedente premier. Non c’è dubbio che il partito sarà nella futura maggioranza, ma «le difficoltà» ci sono. Dai vertici del Pd viene poi spiegato che la «preoccupazione» non è per il proprio partito, uscito in forma non proprio smagliate dalla caduta di Giuseppe Conte. La preoccupazione è per la durata del prossimo governo. E il tema non è il totoministri, né il mix di tecnici e politici che potrebbero comporre la squadra, «anche i politici dovranno essere persone giuste al posto giusto», è il messaggio arrivato.

Il punto per ora è un altro. Nella giornata si rincorrono le notizie del travaglio interno della Lega, sempre più vicina al sì a Draghi, e del Movimento 5 stelle, sempre più nei guai, con una fronda al senato pericolosamente consistente. Zingaretti sa bene che il mandato del presidente della Repubblica al presidente incaricato è ampio, di «unità nazionale» e «senza una precisa formula politica». Il dubbio è che se la Lega farà parte della maggioranza, il governo comincerà a fibrillare «all’arrivo della prima nave con naufraghi», viene spiegato, «o al primo emendamento che prova a introdurre la flat tax».

Problemi che non si pone Italia viva, che si appunta al petto la medaglia del partito che ha voluto Draghi – in realtà ha voluto solo far cadere il governo Conte –. Per dimostrare la sua allegria Matteo Renzi si abbassa rapidamente la mascherina davanti ai cronisti e sfodera un sorriso: «Scusate, è solo per farvi vedere come sto».

Di diverso umore è Zingaretti, che elenca i punti consegnati a Draghi: «Un forte ancoraggio europeo», la difesa «della storica amicizia euro-atlantica», l’accelerazione della transizione ecologica, «politiche del lavoro per affrontare la crisi sociale»; le riforme della giustizia e delle carceri, alla luce «dei principi costituzionali»; e «politiche di genere» per superare il gap uomo-donna. Tutti punti marcatamente all’opposto delle tradizionali politiche della Lega. «Il Pd lavora alla tutela della credibilità, della compattezza e della stabilità del progetto del governo», è la chiave. Prima del Pd anche Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla camera, batte sullo stesso tasto: «Senza una significativa omogeneità programmatica qualsiasi governo rischia di avere vita breve».

Leu soffre anche più del Pd l’ipotesi di votare un governo con la Lega. Fornaro chiarisce che «in questo primo giro di consultazione è giusto che si parta dalle priorità programmatiche» e non significa «frapporre ostacoli al lavoro del presidente incaricato, ma, al contrario dare un contributo alla soluzione di una difficile e complessa crisi di governo». Nicola Fratoianni e Loredana De Petris, della componente di Sinistra italiana, mettono però in chiaro che se nel programma di governo dovessero finire la flat tax, o provvedimenti di austerity, emergerebbero «incompatibilità che abbiamo il dovere di riaffermare».

Draghi ascolta, in questo primo giro di incontri prende appunti. Ce ne sarà un altro, rapidissimo, lunedì. Prima, forse già questo pomeriggio, sentirà le parti sociali. Sindacati e Confindustria sono state già allertati e si tengono pronti. I primi sono stati molto prudenti al momento del suo incarico, la seconda ha apertamente applaudito.

Oggi a Montecitorio arriveranno le delegazioni della Lega e dei Cinque stelle, quelle determinanti – dal punto di vista numerico ma anche politico – per la partenza del governo. Il Pd preferisce una maggioranza «Ursula», sul modello di quella che governa la commissione europea, quindi con gli alleati e Forza Italia. Draghi ieri ha sentito Silvio Berlusconi, che non ha potuto guidare la delegazione azzurra, ma gli ha già detto sì. Oggi si cominceranno a capire le intenzioni dell’ex presidente della Bce sul «perimetro» della maggioranza. L’unico no arrivato è quello di Giorgia Meloni.

La Lega alza il prezzo della sua presenza: «Non sono per le mezze misure: se sei dentro, sei dentro e dai una mano, ti prendi onori e oneri. Se stai fuori, stai fuori. I governi tecnici alla Monti li abbiamo già provati», avverte Salvini. Del resto, aggiunge, il mandato di Mattarella è «dentro tutti».

«Siamo pienamente in sintonia con il mandato che il presidente Mattarella, abbiamo detto sì convintamente», assicura il capogruppo dem alla camera Graziano Delrio. Però c’è un però: «Abbiamo rimarcato a Draghi che le riforme che servono si possono fare nella chiarezza dei contenuti». Draghi «è una delle garanzie migliori», è la conclusione, «non siamo nelle condizioni di porre veti a nessuno, ma siamo nelle condizioni di porre questioni di principio: se ci fosse un programma anti europeista o con contenuti non coerenti con i nostri principi è chiaro che per noi sarebbe un problema».

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