Fin qui, dicevano, stava andando tutto bene. Fin qui ogni volta che il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e quello degli Affari europei Enzo Amendola sentivano dire che il governo italiano era in evidente ritardo sul Next generation Eu la replica era una smentita secca. Ora invece l’uno e l’altro ammettono che il problema c’è. Il piano andrà consegnato a Bruxelles a metà febbraio. Dunque per il primo – sulla Stampa – il rischio è che «i tempi del legittimo confronto politico ci facciano ritardare la finalizzazione del Recovery plan». Per il secondo – sul Messaggero – «la definizione del piano è ferma al 7 dicembre per una verifica politica di cui ancora non si vede la via d’uscita. Al momento, per i tecnici, al lavoro senza un indirizzo del governo e del parlamento, è impossibile fare di più».

Il senso è: filava tutto liscio (anche se Gualtieri ammette che per le categorie in protesta per gli scarsi ristori «abbiamo fatto molto, ma questo non vuol dire che non possiamo fare di più», insomma il governo non ha fatto tutto il possibile). Ma ora è arrivato Matteo Renzi, con l’apertura di fatto della crisi, a frenare l’azione di governo che fin qui trottava con slancio.

Promesse epifaniche

Alla conferenza stampa in cui ha presentato l’ultimo decreto legge sulle strette anti Covid, il premier ha promesso una riunione di maggioranza per chiudere la verifica di governo. E in effetti ieri sera da palazzo Chigi è trapelato che oggi partirà il secondo giro di consultazioni. Alle 15 e 30 Conte, con Amendola e Gualtieri, incontrerà la delegazione M5S. Alle 19 toccherà al Pd. Martedì 22 dicembre sarà il turno di Italia Viva e poi quello di Leu. La partita dovrebbe chiudersi entro il 6 gennaio, ultimo giorno delle feste. Ma il metodo – un documento, un percorso, la ripresa dei tavoli arenati – è ancora avvolto in una nebulosa. Peggio: ieri sera Iv ha fatto sapere di non aver ricevuto alcuna convocazione: «Se il cambio di metodo che chiedevamo è che dobbiamo apprendere la convocazione delle riunioni dagli sms di Casalino alle agenzie significa che a Chigi non hanno capito cosa stanno rischiando».La situazione dunque torna tesa. Anche perché il percorso in realtà non indicato da palazzo Chigi rischia davvero di rallentare il Recovery plan. Per questo ieri Andrea Orlando, vice di Nicola Zingaretti, ha proposto di scorporare il dossier europeo dagli altri punti della verifica, cioè Mes e delega dei servizi segreti. «Sull’utilizzo delle risorse europee non va perso nemmeno un minuto. Isoliamo questo tema e decidiamo subito», ha scritto su Facebook, «bisogna rimettersi subito al lavoro per definire gli strumenti e gli obiettivi del piano del Recovery. Abbiamo rispetto per le posizioni di tutte le forze di maggioranza e pensiamo che debbano trovare risposte. Ne abbiamo di più però per il futuro del Paese. Veti e ultimatum non possono interrompere questo lavoro».

La fiducia è finita

Nelle ultime ore il Pd dunque batte sul tasto del ritardo. Perché se è vero che Renzi ha assicurato che sui voti degli ultimi provvedimento del 2020 non farà scherzi, d’altro canto da Italia viva continua una recita da fine corsa. «Bisogna costruire un rapporto fiduciario di maggioranza che oggi non c’è più. Conte ha sciupato la fiducia che aveva», spiega Ettore Rosato a Sky TG24. Il premier è stato «arrogante», continua, «anche i ministri del M5s non hanno apprezzato che abbia mandato la ripartizione dei 210 miliardi del Recovery fund alle due del mattino senza discuterne con nessuno, secretando i progetti, per approvarli alle nove in Consiglio dei ministri. E allora o il premier dice quale sia il suo percorso per i prossimi mesi o per noi questo governo è una esperienza finita». Dichiarazioni che non migliorano il clima dentro la maggioranza. «Aprire la crisi ora è totalmente irresponsabile», replica il senatore M5s Ettore Licheri. «Rosato farebbe bene a parlare a nome del suo partito senza pretendere di interpretare cosa pensano gli altri partiti di maggioranza», rincara la collega Loredana De Petris (Leu), «Iv vuole provocare a tutti i costi una crisi al buio, il cui esito saranno elezioni anticipate nel momento peggiore per il paese».

A scuola di crisi

Nella maggioranza insomma tira un’ariaccia. Fra i dem circola la convinzione che Renzi abbia perso il controllo delle sue stesse intemerate. Renzi dal canto suo assicura ai suoi – in maggioranza perplessi – che in caso di crisi non si andrà al voto. I Cinque stelle a loro volta smentiscono che se ne possa uscire con qualche ritocco ai ministeri: «M5s ha già chiarito la sua unica posizione su questo tema. L’ultima occasione è stato l’incontro con il presidente del Consiglio durante il quale il capo politico Vito Crimi ha espresso a nome del Movimento una chiara contrarietà rispetto a ipotesi di rimpasto e piena soddisfazione nei confronti della squadra Cinque stelle». Il sottotesto è: giù le mani dalla ministra Lucia Azzolina, la titolare dell’Istruzione che Iv ha messo nel mirino. Ma proprio la scuola rischia di essere il prossimo scivolone del governo.

Le promesse riaperture delle superiori il 7 gennaio sono più che incerte, la (tardiva) riunione della cabina di regia ha messo in fila i problemi – dai trasporti a un canale preferenziale delle Asl per i tamponi di studenti e insegnanti – ma le soluzioni fin qui sono parziali e complicate da organizzare in dieci giorni. Il nodo, un’aggravante sul tavolo dei leader giallorossi, arriverà al pettine esattamente nei giorni che Conte ha indicato per la verifica della maggioranza.

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