Formati governo e sottogoverno, l’ultimo pacchetto di nomine arriverà il 9 novembre con l’elezione dei presidenti delle commissioni parlamentari. La competizione è alta per accaparrarsi i posti e la ripartizione di maggioranza ha stabilito che a Fratelli d’Italia spettano sette presidenze alla Camera e cinque al Senato, alla Lega quattro e tre, a Forza Italia tre e due. Tuttavia, anche in questa suddivisione e soprattutto sui nomi da spendere, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sta scontando un limite di capacità di fare sintesi politica.

Le commissioni chiave

Proprio come con i ministeri, non conta solo quante presidenze ogni partito ottiene, ma soprattutto quali. Il totonomi riempirà il fine settimana, ma tutti sanno quali sono gli scranni più ambiti. Le tre commissioni chiave, sia a Montecitorio sia a palazzo Madama, sono Bilancio, Giustizia e Affari costituzionali, perché da qui passano praticamente tutti i provvedimenti più importanti in materia di legislazione e in materia economica.

In funzione di supplemento alla Bilancio c’è poi la commissione Finanze e chi le guida ha una visione privilegiata su tutto ciò che passa per il parlamento e, soprattutto, dalla sua sapiente gestione passa la velocità con cui un provvedimento viene approvato oppure si impantana nel calendario dei lavori. Per guidarle servono due caratteristiche: conoscenza dei regolamenti per non incappare in trappole o cadere su cavilli burocratici e capacità di dialogo anche con i membri delle opposizioni.

Fratelli d’Italia lascerà la Affari costituzionali della Camera alla Lega, probabilmente con Igor Iezzi e la Bilancio al Senato a Forza Italia, con Roberto Pella e la Finanze al Senato all’ex ministro leghista, Massimo Garavaglia. Punta invece a tenere gli altri tre posti per sé e proprio la scelta dei nomi in lizza tradisce la poca chiarezza di intenti di Giorgia Meloni rispetto alla campagna elettorale.

Se la commissione Bilancio alla Camera dovrebbe andare a Nicola Calandrini, il termometro parlamentare segna alla Affari costituzionali al Senato l’avvocato ferrarese Alberto Balboni e alla Finanze della Camera una corsa a tre tra Marco Osnato, Andrea de Bertoldi e Ylenja Lucaselli.

Pera e Tremonti

A saltare agli occhi, però, sono i nomi che non compaiono: quello dell’ex ministro dell’Economia dei governi Berlusconi, Giulio Tremonti, eletto alla Camera con FdI e l’ex presidente del Senato, Marcello Pera. I due nomi di peso, provenienti da altri partiti e considerati patri nobili del centrodestra, sono stati candidati da Meloni insieme all’ex magistrato e oggi nominato Guardasigilli, Carlo Nordio, con il preciso intento di dare sostanza e autorevolezza al drappello parlamentare del suo partito su tre materie chiave: giustizia, economia e riforme istituzionali.

L’operazione mediatica era stata studiata a tavolino con i tre liberi di intervenire sui giornali in modo massiccio anche discostandosi dall’ortodossia meloniana e soprattutto nasceva con la promessa per tutti di un ruolo di rilievo nella nuova fase politica targata Fratelli d’Italia.

Invece, a un mese dalle elezioni questa strategia si è ribaltata. Una volta sfruttato l’appeal dei tre per costruire una patina istituzionale al partito, ora l’obiettivo di Meloni sembra quello di depotenziare i loro istinti di battitori liberi. Nordio è stato già scavalcato nel primo Consiglio dei ministri e, per prevenirne eventuali iniziative autonome, Meloni gli ha affiancato come sottosegretario il fedelissimo Andrea Delmastro.

Tremonti, per il quale l’ipotesi di un ministero non è mai stata presente, puntava alla guida della commissione Finanze e anzi sembrava essere stato eletto apposta. Invece, il suo nome è uscito dalla lista dei papabili e con tutta probabilità verrà dirottato verso la presidenza della commissione Esteri. Alla più delicata Finanze, invece, Meloni intende scegliere tra una rosa di parlamentari poco noti ma di strettissima osservanza.

Anche Marcello Pera è stato silenziosamente accantonato: le sue speranze di presiedere la commissione Affari costituzionali sarebbero ridotte al lumicino. Potrebbe ricevere un’altra commissione meno cruciale oppure – se davvero il progetto si concretizzerà – la bicamerale per la riforma costituzionale sul presidenzialismo. Magro bottino sia per Pera sia per Tremonti, cui erano stati promessi ben altri riconoscimenti.

Lo scrittore russo Anton Cechov diceva che, se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari. Lo stesso principio vale anche in politica: se si mette in lista e si fa eleggere un candidato di peso, bisogna poi che questo trovi spazio per un incarico di prestigio. Altrimenti, è sintomo che qualcosa non sta filando liscio.

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