Il 19 gennaio il Senato si è riempito di capannelli per raccogliere una fiducia incerta al governo Conte: il voto si è concluso con la “moviola” per convalidare il voto dei ritardatari, che hanno garantito due dei 156 voti e dato al governo la maggioranza relativa, per quanto stiracchiata. Il giorno dopo, con molte meno telecamere accese sull’aula, palazzo Madama ha reso omaggio a Romano Misserville, scomparso a 86 anni il 15 gennaio.

Senatore missino, avvocato penalista e grande appassionato di ippica, è stato uno dei più illustri membri di quella genia di “responsabili” che ha retto le sorti di buona parte dei governi della Seconda repubblica.

Di più: è stato il primo e unico fascista ad entrare, anche se per poco più di una settimana, nel primo governo con un presidente del Consiglio comunista. Era il 1999 e si era insediato il secondo governo D’Alema dopo la crisi in aula del governo Prodi, caduto a causa del voto contrario di Rifondazione comunista di Fausto Bertinotti.

Un partito nato in parlamento

La prima vera operazione politica per resuscitare la maggioranza fu un’invenzione dell’ex presidente della Repubblica e senatore a vita Francesco Cossiga, che appena qualche mese prima della caduta del governo Prodi si era inventato un partito, lo aveva fatto nascere direttamente in parlamento e lo aveva chiamato Unione democratica per la Repubblica.

L’obiettivo era puntellare il nuovo governo D’Alema dopo lo strappo di Rifondazione comunista e il segretario designato fu Clemente Mastella. Nella testa di Cossiga doveva trattarsi di una federazione di tutte le sigle in cui si era diluita la Democrazia cristiana, cui si aggiungevano una manciata di parlamentari di Forza Italia e alcuni di Alleanza nazionale, tra cui Misserville.

L’ex capo dello stato designò proprio lui, che era amico di lunga data di D’Alema nonostante la diversa formazione politica, come anello di congiunzione con il governo. Un legame che venne saldato con la moneta corrente di allora come di oggi: un sottosegretariato, in quel caso al ministero della Difesa.

Quello con cui Cossiga non aveva fatto i conti era lo stesso Misserville. L’avvocato possedeva un ritratto a olio del Duce che era stato scaraventato dalla finestra del ministero dei Fasci e delle corporazioni. La sua idea fissa era di rimettere a posto quel quadro «anche per un giorno», disse alla stampa. E così fece.

Questo e una intervista incendiaria in cui sosteneva che D’Alema gli ricordasse Giorgio Almirante, rischiarono di provocare l’apertura di una nuova crisi di governo. Evitata grazie alle dimissioni spontanee di Misserville.

A non placarsi per tutta la vita dei due esecutivi che seguirono, invece, fu la rabbia di Pierferdinando Casini e Silvio Berlusconi, che non si rassegnavano al fatto che «il governo è nato con la rappresentanza di un milione di nostri elettori».

La maggior parte dei parlamentari Udr, infatti, era stata eletta nelle liste del Polo delle Libertà. Quella legislatura, la tredicesima, si concluse così: dopo i due governi D’Alema, toccò all’ultimo governo Amato, sempre retto dai voti dell’Udeur. Furono due anni e mezzo circa di agonia parlamentare, che consegnarono a Silvio Berlusconi il trionfo alle elezioni del 2001.

All’origine dell’operazione centrista c’era una precisa regia politica che veniva da Cossiga, ma il personaggio chiave fu Clemente Mastella. È lui che, dal 1996 in poi, inizia a teorizzare la nascita di un partito “corsaro”, esterno alla logica dei due blocchi.

La metafora è quella del ciclista: serve un movimento piccolo e agile, che sia capace di infilarsi in tutte le vie di fuga, senza precludersi nulla.

Per farlo erano necessari affacci su tutte le forze politiche: la più nota era quella verso l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, grazie alla presenza nel gruppo dell’Udr del cognato Gabriele Cimadoro.

È su questo piano che inizia la rottura tra Mastella e Cossiga, che voleva nobilitare politicamente l’impresa ma cominciava a rendersi conto che il partito era una somma di notabili in cerca di agibilità politica.

Alle elezioni del 2001 la compagine si divide: Mastella e il suo Udeur confluiscono nella Margherita di Francesco Rutelli, il Centro cristiano democratico di Pierferdinando Casini e i Cristiani democratici uniti di Rocco Buttiglione corrono con il Polo delle Libertà.

Così nasce in parlamento uno degli elementi che diventeranno strutturali nei governi traballanti della Seconda repubblica: quel «cercare la maggioranza in parlamento» che non si rivolge più a blocchi partitici ma a singoli manipoli di parlamentari. Esattamente come sta succedendo ora.

I responsabili di oggi

A guardare l’oggi con gli occhi del passato, le analogie si sprecano. Anche oggi per il parlamento si aggira il fantasma dell’uomo chiave di ogni operazione centrista, Mastella.

Oggi come ventidue anni fa l’obiettivo è traghettare nella maggioranza senatori eletti con lo schieramento avverso. La differenza sostanziale è che ora il parlamento non è l’attore protagonista.

La trattativa politica, infatti, è frutto di un pressing ormai quasi disperato che arriva direttamente da palazzo Chigi. Anche gli esiti finali della sopravvivenza con una maggioranza ricomposta in tutta fretta rischiano di essere gli stessi dei governi del centrosinistra di fine anni 2000.

Dopo la stagione riformatrice di Prodi, il centrosinistra rimase al potere fino alla fine della legislatura grazie ai voti centristi, ma consegnò la vittoria al centrodestra l’anno successivo. Proprio quello che teme oggi il Partito democratico.

Anche se timidamente, i dem starebbero iniziando a dubitare della massima di Andreotti secondo cui «è meglio tirare a campare che tirare le cuoia».

Il rischio è che la storia si ripeta e che tirare a campare oggi si traduca in una ecatombe elettorale domani, in cui fare i conti anche con una nuova forza centrista capitanata da Giuseppe Conte: pronta a sottrarre voti e ad applicare “la teoria del ciclista” dell’infilarsi in ogni via di fuga, sia essa a destra o a sinistra.

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