Chi l'avrebbe mai detto, ha esclamato Giorgia Meloni alla parata del 2 giugno, con un po' di auto-ironia. Il giorno prima, al ricevimento del Quirinale, è ricomparso in pubblico Mario Draghi. Disteso, sorridente, sulfureo, ma distante. Un anno fa, da premier stava preparando la missione che lo portò a Kiev, nella notte tra il 15 e il 16 giugno 2022, in treno, con il presidente francese Macron e il cancelliere tedesco Scholz. L'Italia era protagonista nel gruppo di testa dell'Europa, per includere l'Ucraina nell'Unione. Un successo diplomatico, alcuni retroscena sono stati rivelati dall'allora capogabinetto di Draghi Antonio Funiciello nel suo Leader per forza (Rizzoli). Eppure quel governo stava per svanire.

Una settimana dopo Di Maio e i suoi uscirono dai 5 Stelle di Conte. In seguito a quella mossa suicida, Draghi cadde. E per Meloni si spalancò la strada verso Palazzo Chigi. Chi l'avrebbe mai detto. Anche l'Italia di Meloni, oggi, si candida a essere guida dell'Europa, ma di segno opposto. Una Europa dei sovranisti, il contrario dell'ispirazione iniziale, di Adenauer, di Schuman e di De Gasperi.

«Coloro che nel dopoguerra volsero lo sguardo ai trent’anni precedenti e conclusero che governi emersi dal nazionalismo, dal populismo, da un linguaggio in cui il carisma si accompagnava alla menzogna, non avevano dato ai cittadini sicurezza, equità, libertà; avevano tradito la ragione stessa della loro esistenza», disse Draghi, presidente della Bce, ricevendo a Trento il premio De Gasperi il 13 settembre 2016, due mesi prima in Inghilterra aveva vinto la Brexit.

Draghi citò lo statista cattolico: «Se costruiremo solo amministrazioni comuni, senza una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale, in cui le volontà nazionali si incontrino, rischieremo che questa attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale particolare, senza calore, senza vita ideale. Una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva».

È quanto accaduto negli ultimi dieci anni. I sovranisti consideravano l’Europa un nemico, oggi invece puntano a guidare il nuovo sistema, in alleanza con il Ppe che spezza l'asse storico con i socialisti e tradisce i suoi padri fondatori.

Un’Europa somma di nazioni, in cui varrà un'unica regola, i rapporti di forza, come in un saloon. È uno dei frutti avvelenati della guerra di Putin, che perderà militarmente ma vincerà politicamente, se il dopoguerra sarà caratterizzato da una distesa di stati e di leader nazionalisti. Ma chi – in Europa e in Italia – non si unisce per fronteggiare questa sfida mortale, continuando a dividersi sui dettagli, rischia l'irrilevanza o il caos.

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