I voti della manovra. Vince Giorgetti, Salvini merita un 3

Il cammino della manovra deve ancora iniziare in parlamento, ma tra i partiti della maggioranza il clima è di scontro totale. «Forza Italia non voterà la norma che prevede l’aumento delle tasse sugli affitti brevi. Decide la politica, non i grand commis del ministero dell’Economia», ha detto il vicepremier, Antonio Tajani, aprendo poi un altro fronte: il definanziamento di 50 milioni di euro della linea C della metro di Roma. «Bisogna che il ministro Salvini parli col suo collega di partito ministro dell’Economia», ha rilanciato il segretario di Forza Italia. Affitti brevi, dal governo una finta retromarcia: quasi tutti affittano online Insomma, il ddl del governo è approdato al Senato, dove la prossima settimana dovrebbe iniziare l’iter. Ma ci sono ministri e leader che ne escono vincitori. O vinti. Ecco un “pagellone” della manovra. Giancarlo Giorgetti 6,5. La manovra è anemica, dall’impatto nullo sul Pil come hanno detto tutti gli istituti indipendenti, dall’Istat all’Upb. Detta così sembra un disastro. Ma il ministro dell’Economia aveva un obiettivo tutto suo: tenere i conti in ordine e portare l’Italia fuori dalla procedura di infrazione. Su questo punto nessuno può contestargli granché. Giorgetti ha compiuto grandi sforzi per fingere di accontentare i leader dei partiti, compresa la sua Lega, lasciando tutto intatto. Giorgetti e Perrotta “segretano” la manovra e il Mef è in rivolta Basti vedere la questione della tassazione degli affitti brevi anche per la prima casa. Mentre tutti sbraitano, ha mandato la manovra in parlamento così come sostanzialmente l’aveva confezionata con la ragioniera dello stato, Daria Perrotta. Alessandro Giuli 4. Il maxi taglio al fondo per il cinema resterà a imperitura memoria. Se ne parlerà fino all’approvazione a dicembre. L’attenuante del ministro della Cultura è quella di pagare responsabilità altrui. Si è trovato al posto sbagliato nel momento meno opportuno, insomma. Cultura ad personam. I soldi del ministero per il libro del “vate” Giuli Ma non ha fatto molto per cambiare le cose. La Carta valore è la riedizione, in salsa sovranista, della vecchia 18app renziana. Con meno risorse rispetto alla versione originale. Francesco Lollobrigida 6. Il peso specifico non è più quello di un tempo. Ma, a conti fatti, riesce sempre a ottenere misure per il suo ministero. Tanto basta, di questi tempi. Giorgia Meloni 6. Nessuno ha mai capito quali fossero le sue priorità per la manovra. O meglio: ha elencato una serie di possibili priorità, che si sono tutte annacquate. È venuta fuori una manovra equilibrista, senz’anima. Ma il testo serve alla presidente del Consiglio per spargere un po’ di propaganda con gli slogan «Siamo tornati in serie A» e «Spendiamo di più in sanità». Tutto storytelling. E se mancano investimenti per la crescita l’argomento utile è già pronto: colpa degli altri, del Superbonus, delle guerre. Non disturbare il manovratore: l’opposizione secondo Meloni Dopo tre anni al governo, riesce ancora a scaricare le responsabilità. Chapeau. Facendo passare senza troppi intoppi manovre pallide. Il voto è la media tra l’8 per la propaganda e il 4 per il contenuto del provvedimento. Matteo Salvini 3. Il leader della Lega è vittima di sé stesso, delle promesse che alzano sempre più l’asticella. Appena poche settimane fa, il suo fedelissimo Claudio Durigon parlava di uno stop all’aumento dell’età per andare in pensione. Detto, non fatto. E mentre il ministro delle Infrastrutture spingeva per l’aumento del prelievo delle banche, il suo governo ha trovato un accordo al ribasso. E gli hanno definanziato la metro C di Roma. Sulle tasse non porta a casa nulla, l’estensione fino a 100mila euro della flat tax per gli autonomi non è stata presa in considerazione. Porti e poltrone. Salvini e la nomina dell’amico dei clan Addirittura è stata ammainata la bandiera dell’abolizione del canone Rai. Ciliegina sulla torta: il suo ministero subisce il taglio più draconiano, 500 milioni di euro solo per il 2026. L’unico contentino è la rottamazione delle cartelle. Orazio Schillaci 6. Ha trascorso un’estate sulla graticola, sfidando le tentazioni No-vax del governo. Eppure ha portato a casa 2,4 miliardi di euro, il doppio rispetto alle previsioni iniziali. L’obiettivo della spesa pari al 7 per cento in rapporto al Pil è chimerico. Ma poteva andargli peggio. Antonio Tajani 5. Era partito a spron battuto: il taglio del secondo scaglione dell’aliquota Irpef, dal 35 al 33 per cento, è una sua vittoria. Lo chiedeva dalla scorsa legge di Bilancio. E poi: lo stop alla sugar tax e alla plastic tax, che sono kryptonite per l’elettorato forzista. Più bandi per Israele, Tajani ignora le proteste E allora perché l’insufficienza? Il taglio al ceto medio è meno incisivo rispetto a quanto progettato. Soprattutto, il governo ha messo nel mirino le banche, tema molto caro a Tajani (e alla famiglia Berlusconi), e gli affitti brevi. La questione è diventata una commedia. Con il segretario di Forza Italia che è stato gabbato dal duo Giorgetti-Perrotta. Adolfo Urso 5. La nuova Transizione 5.0 è il paradigma di come la precedente misura non abbia funzionato. Non ha speso le risorse a disposizione e oggi ottiene 4 miliardi per un meccanismo riveduto e corretto. Per il resto, la manovra mette poco o nulla sulla crescita, che dovrebbe essere il core business del ministero delle Imprese. Paolo Zangrillo 7. Non è il ministro più visibile e riconoscibile del governo, ma il titolare della Pubblica amministrazione ha portato a casa risorse per i dipendenti pubblici, soprattutto quelli comunali. È tra le poche categorie che – grazie al mix di interventi – può arrivare all’aumento di oltre 150 euro al mese.