«Mai stati equidistanti. Siamo dalla parte degli aggrediti e siamo stati fra i primi a dirlo». Il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo convoca una conferenza stampa a Roma, nella sede dell’associazione, per chiudere prima del 25 aprile le polemiche che lo hanno piazzato al centro di una buriana, fra stampa e rete; e per rilanciare una festa della Liberazione «di impegno di pace e contro la guerra». È – quasi – universalmente accusato di «putinismo». In qualche caso annuncia querele. Spiega: «Dai media abbiamo assistito ad una serie di attacchi di una violenza e di una volgarità inaudita. Ho scoperto, a mia insaputa, di essere putiniano, non mi passa neanche per l’anticamera del cervello ma ce ne faremo una ragione». In realtà lui crede «che l’unica soluzione ragionevole sia una soluzione negoziata che richiederebbe una buona volontà in primo luogo da parte di Putin, che ha tutte le responsabilità di questa vicenda, e in secondo luogo da parte di Zelensky». Ma il dramma è «che non vedo questa buona volontà né in Putin, né in Zelensky, né in Biden, né nella Ue». Respinge ogni accusa: è stato attaccato anche per un comunicato sulla strage di Bucha in cui chiedeva una «inchiesta indipendente», lui spiega che è la stessa richiesta del segretario generale delle Onu Guterres, e perfino dal Pentagono.

Tira dritto, e dunque di fatto non riesce a spegnere le polemiche. Pagliarulo, ex Prc, poi Pdci – partito che, per la cronaca, era nel governo D’Alema che nel 1999 partecipò alla missione che bombardò la Serbia – un breve passaggio nel Pd e oggi presidente dell’Anpi freschissimo di rielezione, finisce fatalmente come Cimabue: il frate di un vecchio carosello che per riparare a un guaio ne faceva due. In questo caso le polemiche che riapre sono addirittura tre.

La prima è interno alla stessa Anpi, da cui si leva qualche voce perplessa sulla sua conduzione della vicenda della guerra. Prima il sì all’invio delle armi iitaliane in Ucraina da parte del presidente emerito dell’associazione, l’autorevolissimo Carlo Smuraglia, partigiano, volontario del gruppo Cremona alle dipendenze dell’ottava Armata britannica. Sul punto Pagliarulo resta rocciosamente per il no: la resistenza ucraina «va sostenuta» ma «non con le armi», «si rischia di creare una catastrofe», l’allargamento del conflitto oppure «un nuovo Afghanistan nel cuore dell’Europa». L’Anpi chiede pace, mancherebbe, «un tavolo di trattative a partire da una tregua per le festività pasquali come ha chiesto papa Francesco».

Sempre fra le voci di dentro c’è poi chi avanza preoccupazioni sul rischio di marginalità di un’Anpi finita sotto attacco generale (Le prime file dell’artiglieria, va detto, sono composte da quelli che non hanno mai digerito la memoria della Resistenza, forse la storia). A preoccuparsi ci sono anche figure chiave dell’associazione, come la vicepresidente Albertina Soliani che dalle colonne di Domani le ha chiesto di «raddrizzare l’asse», ovvero correggere la linea. Pagliarulo replica: «L’Anpi è unita, la conferma del suo pluralismo sono le parole di Albertina, fra noi c’è un legittimo dibattito, benvenute opinioni diverse. Ma il 95 per cento della nostra associazione è d’accordo con me». Poi però rassicura: «L’Anpi non è una ridotta della sinistra radicale», «La preoccupazione di non isolare l’Anpi è di tutti noi», chiama «l’unità di tutte le forze di pace per abbassare la tensione» e si spinge fino ad annoverare il Pd «fra le forze di pace».

C’è ancora la vicenda delle bandiere. Pagliarulo immagina che nei cortei del 25 aprile ci saranno bandiere ucraine. Ma si augura che non ce ne siano dell’Alleanza atlantica, perché «la Nato non è un’organizzazione pacifista» (Pagliarulo è stato comunista ma non si sente sicuro sotto l’ombrello Nato; comunque snocciola un lungo elenco di guerre Nato iniziate male e finite peggio). I radicali italiani promettono di portarle in piazza. Per il presidente Anpi farlo sarebbe «inopportuno» ma si impegna a impedire «qualsiasi incidente e provocazione».

Infine il terzo guaio, la terza polemica che Pagliarulo non riesce a chiudere è forse la più dolorosa. E pericolosa per la stessa associazione. A Roma dal 2014 l’Anpi non celebra più il 25 aprile insieme alla comunità ebraica. La quale, oltre a malsopportare i fischi alle bandiere di Israele in piazza, da tempo chiede che dal corteo vengano allontanati i vessilli palestinesi perché – è la ragione avanzata in questie ultimi anni - negli anni 30 il nazionalismo arabo del gran Mufti di Gerusalemme fu alleato di Hitler. Ma l’Anpi non vuole e non può, da statuto, espellere le bandiere di un popolo che lotta per la sua autodeterminazione. Pagliarulo assicura di aspettare alla testa del corteo la Brigata Ebraica, protagonista della Resistenza. Scriverà, promette, alla presidente Ruth Dureghello, che in questi giorni è stata già durissima con lui. Dureghello però non aspetta la sua lettera per rispondere che «la polemica con l’Anpi per il 25 aprile è diventata ormai noiosa», «le questioni sul tavolo sono sempre le stesse: no a vessilli di chi era alleato con i nazisti. È curioso che nella stessa conferenza stampa si sia detto no alle bandiere Nato e sì a quelle palestinesi. Se Pagliarulo vuole mandare un segnale dica no a quelle bandiere e faccia porre delle scuse al presidente dell’Anpi Roma che in una manifestazione chiese la liberazione dei terroristi palestinesi che avevano ucciso civili israeliani. Non si può essere per la pace a giorni alterni e sul terrorismo non possono esserci ambiguità».

È una fortuna, ma è anche altrettanto curioso, che il tema si ponga a Roma ma non a Milano, dove il 25 aprile comunque si svolgerà il corteo nazionale, come sempre. Partirà da Corso Venezia e arriverà a piazza Duomo: parleranno il sindaco Giuseppe Sala, Tatyana Bandelyuk, una cittadina ucraina, Dario Venegoni, presidente dell’associazione degli ex deportati, Maurizio Landini, segretario della Cgil, e lo stesso Pagliarulo.

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