«Pani, casu e binu a rasu», diciamo in Sardegna: «pane, formaggio e un bicchiere pieno di vino», per indicare ciò che serve alla sopravvivenza. Al pane e formaggio adesso penserà la regione. Per il vino dovremo arrangiarci.

Il presidente della regione sarda Christian Solinas e la sua giunta hanno stanziato 6 milioni di euro in pane e formaggio per gli “indigenti”, allo scopo di soddisfare i bisogni alimentari delle famiglie in maggiore difficoltà. Si aiuteranno così anche le aziende del comparto lattiero-caseario, penalizzate dalla scarse vendite dei mesi pandemici. Due obiettivi ottimi. Ma l’avvio dell’iniziativa ha provocato polemiche e ilarità.

La cifra riservata a ciascun bisognoso è di 30 euro mensili. Avete letto bene: 30 euro. Qualcosa che assomiglia parecchio ad un’elemosina e spingerà molti a non tendere la mano, perché la dignità è forte, anche a stomaco vuoto. Di questi 30 euro, si legge nella delibera regionale, 5 euro vanno riservati «all’acquisto di prodotti tipici della panificazione a lunga conservazione», mentre con i restanti 25 si potranno comprare «formaggi ovini, caprini e vaccini, escluso il pecorino romano».

Non è dato sapere da cosa derivi tale precisissima ripartizione della somma elargita ad ogni cittadino. Dalla delibera scaturirà, come sempre, una vertiginosa spirale burocratica. Ed è questo il suo vero punto debole, ciò che rischia di renderla in buona parte inefficace. Prima di passare dalle parole ai fatti, serve il parere positivo di una commissione del Consiglio regionale. Serve anche l’autorizzazione della Commissione europea: sia mai che definisca il pane e formaggio aiuti di Stato. Poi la Regione deve versare i soldi ai comuni, perché toccherà ai municipi svolgere il lavoro duro.

Anche in questo caso abbiamo criteri secchi. Il 30 per cento dei 6 milioni verrà diviso tra i comuni sardi in parti uguali, il 35 per cento in proporzione alla popolazione e il restante 35 per cento in proporzione al tasso di indigenza locale, certificato a quanto pare dall’Istat. I soldi non arriveranno tutti assieme: un 70 per cento all’avvio dell’intervento e il resto alla fine.

Complicazioni burocratiche

I servizi sociali dei comuni devono preparare un modulo di domanda grazie al quale i candidati all’aiuto forniscano nome, cognome, residenza, autocertificazione dello stato di famiglia e prova dell’indigenza: ad esempio, un reddito inferiore a una data soglia. Poi i comuni esaminano le domande, ne certificano l’ammissibilità e trasmettono alla Regione il numero delle famiglie che possono ricevere l’aiuto. Tutto entro rigidi termini di tempo. Solo dopo possono effettivamente dare una mano ai cittadini in difficoltà.

Come? L’esigenza di tracciare il percorso dei soldi impedirà il versamento del denaro – quei poveri 30 euro – a chi ha fatto domanda. Gli “indigenti” riceveranno dei voucher, che dovranno essere obbligatoriamente spesi presso le aziende produttrici e venditrici di «prodotti tipici della panificazione a lunga conservazione» e di «formaggi ovini, caprini e vaccini, escluso il pecorino romano».

Già, perché mentre i comuni saranno alle prese con i cittadini, la Regione bandirà le forniture alimentari in tutta l’isola e stilerà un elenco delle aziende che ne potranno fare commercio. Aziende le quali, a loro volta, per entrare nel novero dei favoriti dovranno soddisfare una lunga lista di obblighi. Gli “indigenti” potranno scegliere quella che preferiscono e acquistare lì. Quanto ai municipi, toccherà loro stilare con le aziende una convenzione che regoli l’utilizzo dei buoni e le modalità del rimborso: saranno i comuni, infatti, a versare ai produttori l’equivalente in euro dei voucher.

Un meccanismo stremante, che metterà a repentaglio la migliore buona volontà di cittadini, aziende ed uffici pubblici. Un esempio formidabile di burocrazia cieca: complica inutilmente la vita di paesetti come Villanovaforru, di cui sono sindaco e che conta appena 650 abitanti.

Non è poi finita. I servizi sociali dei comuni dovranno rendicontare alla Regione anche l’ultimo voucher ed effettuare a campione dei controlli sul comportamento dei beneficiari. E come sanzionare chi, ad esempio, avrà speso per il pane non il quinto prescritto ma magari un quarto? Gli ukaze regionali, per tutto ciò, fortunatamente non dettano pene. Alla fine di questa giostra, avremo poco pane e poco formaggio. Per il vino, invece, non ci lamentiamo. È stata un’ottima annata, e di qualità. Il bicchiere pieno sulla nostra tavola non mancherà mai.

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