Il centrodestra ha dormito un sonno tranquillo domenica sera, con il dato sull’affluenza al 22 per cento, e nel pomeriggio di lunedì ha tirato il definitivo sospiro di sollievo.

Il referendum promosso dal centrosinistra insieme alla Cgil su lavoro e cittadinanza non solo non ha raggiunto il quorum, non ha nemmeno superato il 30 per cento complessivo, con il voto estero che ha fatto scivolare la media intorno al 29 per cento. Decisamente sotto la soglia fissata dal governo per preoccuparsi politicamente dell’esito.

Il Pd aveva indicato come successo il superamento con i sì dei 12,3 milioni di voti presi da Giorgia Meloni alle politiche, pari a circa il 24 per cento: risultato effettivamente raggiunto con 14 milioni di votanti, ma nessuno nel centrodestra lo ha davvero considerato il vero parametro.

La linea comunicativa viene fissata da Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio meloniano: «Le opposizioni hanno voluto trasformare i referendum in un referendum sul governo Meloni. Il responso appare molto chiaro: il governo ne esce ulteriormente rafforzato e la sinistra ulteriormente indebolita». Una frase tombale, dietro cui si allineano le riflessioni del resto del partito. «Avete perso», campeggia sui social di Fratelli d’Italia. Il capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami parla di «bocciatura della sinistra» e il responsabile organizzazione Giovanni Donzelli scherza: «Hanno provato la spallata e si sono slogati la spalla».

L’affondo definitivo, invece, è venuto da Ignazio La Russa, che nonostante il ruolo di presidente del Senato non rinuncia mai a commentare la politica: «Il campo largo, semmai fosse nato, oggi è definitivamente morto», ha detto a La7, aggiungendo che «sono tantissimi gli elettori che sono rimasti schifati da una campagna divisiva e di odio».

Toni altrettanto vittoriosi sono arrivati anche dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che si è soffermato in particolare sulla «sconfitta cocente della Cgil, che ha spaccato l'unità sindacale», rimanendo sulla linea dell’«assalto fallito al governo, che esce rafforzato». L’altro vicepremier e leader leghista Matteo Salvini ha liquidato i due giorni di voto come una «enorme sconfitta per una sinistra che non ha più idee e credibilità e che non riesce a mobilitare neanche i propri elettori».

L’analisi

Tuttavia, l’esito del referendum parla anche al centrodestra e chi nelle segreterie dei partiti sta analizzando i numeri ritiene che il successo sia doppio: non solo la bassa affluenza, ma anche il 35 per cento di no al quesito referendario che proponeva di abbassare a 5 gli anni per poter chiedere la cittadinanza italiana.

«Il risultato dovrebbe davvero far riflettere la sinistra», ha dichiarato il ministro meloniano Luca Ciriani. «Gli italiani hanno scelto, e hanno parlato con voce chiara e ferma: la cittadinanza non si regala. Con buona pace dei salotti di sinistra», è stato il commento del vicesegretario della Lega Roberto Vannacci. Per la Lega, un ottimo segnale in vista delle future campagne elettorali in chiave identitaria e securitaria. «Perfino a sinistra si ribellano alle follie dei loro leader», ha detto il deputato e segretario della Lega Giovani, Luca Toccalini.

Quello che a destra viene considerato un clamoroso autogol del centrosinistra sul tema della cittadinanza viene letto favorevolmente anche in vista delle regionali d’autunno. Il segnale più incoraggiante ma anche più scontato è arrivato dal Veneto, dove l’affluenza al referendum si è fermata al 26 per cento, sotto la media nazionale e uno dei dati più bassi. Considerando che i mobilitati al voto siano stati quasi esclusivamente elettori d’area centrosinistra, la percentuale di votanti raggiunta blinda virtualmente la sorte elettorale della regione.

Prima però, il centrodestra dovrà risolvere l’incognita terzo mandato – chiusa dalla Consulta e riaperta da FdI che sarebbe pronta a discuterne – e dunque se aprire davvero (e con il candidato di quale partito) il dopo-Luca Zaia. Domani la Lega terrà il suo consiglio federale e si parlerà anche di questo.

Quanto alle altre regioni presto alle urne per rieleggere i governatori, contraltare del Veneto è la Toscana, regione con la maggiore affluenza con il 39,1 per cento. Nelle Marche ha votato il 32,7 per cento; in Puglia il 28,6 e in Campania il 29,8. Con questi dati e mentre nel centrosinistra si aprirà una resa dei conti, non sarà più rinviabile il momento della spartizione tra partiti e della scelta dei candidati.

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