La coalizione di centrodestra si trascina dal 2021 e a ogni scossone sembra ormai definitivamente rotta. È successo con la nascita del governo Draghi da cui Fratelli d’Italia è rimasta fuori, trovandosi quindi all’opposizione degli alleati di Lega e Forza Italia.

Con le amministrative dell’autunno scorso in cui il braccio di ferro interno tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini è costato la sconfitta in tutte le principali città. Quindi con il pasticcio sulla presidenza della Repubblica a gennaio 2022. Nel frattempo sono progressivamente cambiati i rapporti di forza – i sondaggi danno FdI al 22 per cento e la Lega al 15 – e gli scontri sono continuati. Ma, per quanto l’alleanza sia sfilacciata e sempre sull’orlo dell’implosione, nessuno ha ancora dichiarato conclusa l’esperienza comune.

Il mantra «solo con il centrodestra unito si vince», coniato dal vero federatore Silvio Berlusconi, è ancora valido sia per Meloni sia per Salvini. Pace armata, ma sempre pace. «Poi, una volta conquistata la vittoria, si vedrà», dice un importante esponente di FdI.

Proprio questa considerazione è il segnale inequivocabile che la prima a non voler rompere è Meloni, ben attenta a evitare che i sondaggi, sempre più positivi, le diano alla testa.

Le comunali

Il primo turno delle elezioni comunali, lo scorso 12 giugno, sono state l’incoronazione della leader di Fratelli d’Italia. Il suo partito ha doppiato la Lega anche nelle province del nord dando una prova di forza attesa ma comunque dirompente nel centrodestra.

Pur potendo affondare il colpo contro Salvini, che continua a considerarsi il perno dell’alleanza sulla base dei risultati elettorali delle politiche del 2018, Meloni ha scelto di rimanere ferma. Ha attaccato il centrosinistra e rilasciato qualche dichiarazione di maniera sul fatto che il governo dovrebbe interrogarsi sull’opportunità di andare avanti, visto come sono cambiate le maggioranze nel paese. Nulla, però, contro i suoi avversari di governo ma alleati in buona parte dei territori al voto.

L’orientamento del vertice del partito è quello di proporsi lentamente come forza di traino della coalizione, ma senza strappi. «Meloni proporrà a breve un incontro tra forze alleate, con l’obiettivo di scrivere il programma elettorale per le prossime politiche», anticipano fonti di FdI.

A breve significa conclusi i ballottaggi del 26 giugno, il programma elettorale invece servirà a cementare di nuovo la coalizione e impedire colpi di mano in extremis, come il cambio di legge elettorale in senso proporzionale negli ultimi scampoli di legislatura. Questo è il piano di Meloni: non forzare la mano sulla sua leadership ma far sì che emerga per fatti concludenti alle prossime elezioni, a cui non intende presentarsi da sola.

Le prossime regionali

Le prossime regionali potrebbero essere il terreno della pacificazione del centrodestra. Il dialogo per scegliere i candidati era partito con la polemica siciliana, in cui Meloni sembrava non transigere sulla ricandidatura dell’uscente Nello Musumeci, recentemente iscritto a FdI.

Contro di lui, però, era subito partito il fuoco di fila di Forza Italia, che sull’isola è partito determinante, e della Lega, contrarissime al secondo mandato di un presidente che non ha saputo armonizzare le forze politiche che lo sostenevano. «Se non vale più il principio del concedere il bis a tutti i nostri eletti che lo chiedano, allora la partita si riapre per tutti», è però stato il ragionamento di Meloni a Salvini durante il tavolo per il candidato alle comunali di Palermo, durante il quale FdI puntava a chiudere anche la partira regionali. Il riferimento era ai leghisti Attilio Fontana in Lombardia e Massimiliano Fedriga in Friuli-Venezia Giulia e l’implosione dell’alleanza sembrava a un passo.

Invece in Sicilia Salvini ha saputo muoversi con astuzia: ha lasciato a Meloni la scelta del candidato sindaco, caduta sull’eletto al primo turno Roberto Lagalla, incassando il sì a posticipare la scelta per le regionali a dopo i ballottaggi nelle altre città. Nel frattempo, è stato lo stesso Musumeci ad accennare per la prima volta al passo indietro: gli attacchi nei suoi confronti sono continuati da parte dei maggiorenti di Forza Italia e anche dai civici di centrodestra e contemporaneamente Meloni ha spento i riflettori sull’isola. Musumeci, sentendosi poco difeso dal suo neo-partito, è pronto ad annunciare il ritiro e la scelta non ha fatto disperare FdI.

L’interesse di Meloni, infatti, è di consolidarsi a livello nazionale guadagnando spazio nell’alleanza ma non è disposta a crociate personali, soprattutto per chi non fa parte del cerchio ristretto intorno a lei. Cedere su Musumeci, però, non significa cedere l’isola e sono pronti altri nomi meloniani (dalla deputata Carolina Varchi all’eurodeputato Raffaele Stancanelli) da candidare. Nella dinamica spartitoria interna FdI è decisa a esprimere il candidato in almeno due grandi regioni. La prima scelta sono il Lazio e la Sicilia e, se quest’ultima saltasse, nel mirino finirà la Lombardia.

L’incognita Lega

Una variabile indipendente che potrebbe far saltare la strategia di Meloni per guidare il centrodestra è la situazione nella Lega. L’attuale crisi di consensi è legata al calo di popolarità di Salvini, che nel corso dell’estate dovrà anche affrontare i suoi processi in Sicilia. Meloni può rimanere ferma e aspettare che lui si saboti da solo, consegnandole il primato politico.

I fedelissimi di Salvini attribuiscono il calo alla presenza della Lega in maggioranza e starebbero convincendo il segretario alla necessità di strappare, magari al raduno di Pontida in settembre, prima della legge di bilancio. Forza Italia difficilmente lo seguirebbe però, e anche buona parte del suo partito potrebbe neutralizzarlo prima.

L’ala moderata del ministro Giancarlo Giorgetti e dei presidenti di regione Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, infatti, è pronta a creare un cordone intorno a Salvini per impedirgli un secondo Papeete: il nord ha bisogno di continuità e stabilità, soprattutto in un periodo difficile per l’economia e una possibile crisi dell’energia alle porte. «Salvini era inamovibile perché il suo consenso personale ci ha portati al 34 per cento nel 2019, ma se al nord ora abbiamo percentuali a una cifra qualcosa deve essere messo in discussione», ragiona un dirigente veneto della Lega.

Del resto, le comunali hanno dato dimostrazione del fatto che il partito abbia progressivamente perso contatto con i suoi territori storici e la resa dei conti non sarebbe lontana. Ad accelerarla potrebbe essere l’esito del ballottaggio a Verona, dove l’uscente di FdI Federico Sboarina insegue con 8 punti di distacco Damiano Tommasi, ma non ha voluto cedere all’apparentamento con Flavio Tosi, ex sindaco ed ex leghista ora in quota Forza Italia. Se perdesse, consegnando la città al centrosinistra per la prima volta in vent’anni, si aprirebbe una resa dei conti su più livelli e il segnale di pericolo è arrivato da uno che conosce bene la Lega come l’ex segretario Roberto Maroni, che sul Foglio ha avvertito: «Attenti al suicidio».

Risultato: al momento, sul piano nazionale, l’alleanza di centrodestra può ancora puntare compatta alle elezioni del 2023. Meloni ha tutto l’interesse a guidare una coalizione con un Salvini, fortemente indebolito, ancora segretario della Lega. Se però l’ex ministro venisse commissariato prima, si aprirebbero nuovi scenari imprevedibili.

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