Si chiamano Mario, Eugenio e Giovanni, hanno tra gli 82 e gli 88 anni e, nonostante l’età e qualche acciacco, sono ancora parzialmente autosufficienti. Dal primo novembre hanno scelto di vivere nell’ex convento dei frati cappuccini di Terzolas, un paesino di 650 abitanti in val di Sole, in provincia di Trento: con loro prende avvio il progetto di co-residenzialità gestito dalla cooperativa sociale Il Sole, che a regime può ospitare fino a venti anziani, assistiti da un operatore 24 ore su 24. Una partenza, questa, che fino all’ultimo è stata incerta a causa della pandemia. «Ci siamo interrogati molto se rimandarla», ha detto il presidente della cooperativa, Maurizio Suighi, «ma abbiamo deciso di assumerci il rischio perché l’alternativa era lasciare queste persone sole in casa o in difficoltà». A Terzolas gli anziani hanno fatto il tampone al momento dell’arrivo e ora sono a metà della quarantena di 10 giorni, ma l’attenzione è stata massima, perché il rischio di diffusione del virus in strutture di ricovero per anziani è altissimo. È di ieri, infatti, la notizia di altri sette anziani positivi nella casa di riposo milanese del Pio Alberto Trivulzio, in un focolaio che conta anche 67 dipendenti contagiati. Per evitare rischi, i tre trentini dormono in stanze singole con bagno, mangiano in tavoli lontani uno dall’altro e uno spazio comune è stato allestito per permettere le visite dei familiari. A breve, però, potranno iniziare a stare insieme: giocare a carte, mangiare in compagnia o guardare la televisione.

Tutti hanno vissuto sempre in valle, ognuno di loro è arrivato a Terzolas con esigenze diverse. Mario si fermerà un mese e l’idea è stata della moglie: lei ha quindici anni in meno ma l’età si fa sentire e accudirlo non è sempre facile, quindi lasciarlo temporaneamente alle cure della Dimora di Frate Sole è un momento di riposo per entrambi. Eugenio, invece, rimarrà fino ad aprile: ha 85 anni e vive da solo in una casa in alta val di Rabbi riscaldata da un’unica stufa. Portare la legna su e giù per le scale è diventato troppo faticoso con la neve e con il freddo, quindi ha deciso di svernare in un luogo più confortevole. Giovanni è il più anziano e ha fatto una scelta definitiva: ha lasciato la casa in cui abitava da solo e si è trasferito nell’ex convento dove vivrà in compagnia. A metà novembre, poi, arriveranno altri due nuovi ospiti. «L’obiettivo è creare una microfamiglia, sfruttando al massimo l’ex convento che, finita la pandemia, si animerà di spazi sociali per la comunità», dice Suighi.

Ricreare un microcosmo

L’edificio, costruito nel 1892 in cima al paese con i boschi alle spalle e il fiume Noce poco lontano, è un enorme complesso a forma quadrata con un chiostro. Per 120 anni ci hanno vissuto i frati cappuccini, che poi si sono trasferiti nella ex stalla. Il resto è stato ristrutturato grazie ai contributi della Provincia autonoma di Trento. Per otto anni l’ormai ex convento è stato un hotel, ma nel 2019 i religiosi hanno scelto di restituire alla valle quello spazio, dandolo in concessione per i prossimi vent’anni a una cooperativa locale. Così è nato il progetto di co-housing che occupa il primo piano e che è il nucleo intorno al quale si sviluppano tutte le altre attività. Sullo stesso piano ci sono un’area comune, una cucina casalinga e alcune stanze che verranno adibite a servizi per la salute, con uno psicologo e un fisioterapista. Nell’edificio, poi, ci sono altre camere che possono essere affittate dai familiari in visita oppure da chi partecipa a eventi organizzati. Già ora alcune sale dell’enorme complesso sono utilizzate dalla scuola musicale Eccher, che fa didattica per un centinaio di alunni delle valli vicine. Infine verranno aperti un bar e un ristorante sociali, saranno possibili soggiorni estivi per bambini e la sala ricevimenti verrà affittata per matrimoni ed eventi. «Il senso è quello di ricreare un piccolo microcosmo intorno a questi anziani, in modo che prenda vita una comunità», dice Suighi. Il progetto è interamente privato e non ha ottenuto alcun finanziamento pubblico dalla provincia di Trento: quello di Terzolas è un modello che non dipende dalle ricchezze dell’autonomia speciale ma che potrebbe essere replicato ovunque, con la giusta convergenza di spazi e spirito d’iniziativa. La cooperativa Il Sole, infatti, paga ai frati un affitto annuo, oltre alle spese di gestione. Gli ospiti pagano una retta che varia dai 1.500 euro al mese per la stanza doppia ai 1.700 per una stanza singola: lo stesso costo di una Rsa. Con la differenza che le case di riposo, essendo strutture convenzionate perché offrono anche servizi sanitari, incassano in più un contributo pubblico di 2.000 euro per la gestione dei degenti.

La Provincia non c’entra

La cooperativa sociale, invece, per far quadrare i conti sfrutta i tanti spazi dell’ex convento. «Il tutto è reso possibile da un edificio ristrutturato che ci permette questa economia di scala», spiega Suighi. Con un doppio risultato: le iniziative parallele al co-housing permetteranno di incassare quanto basta per il pareggio di bilancio, ma creeranno anche intorno agli anziani un contesto vivace, trasformando l’ex convento in punto di ritrovo per la valle.

Farlo partire in periodo di pandemia è una rarità, ma il co-housing è una realtà che si sta affermando in particolare in Trentino dove, secondo l’Istat, oltre un terzo dei nuclei familiari è composto da una sola persona. Per questo si è puntato a sviluppare un modello di welfare in cui chi è ancora parzialmente autosufficiente può essere assistito senza rinunciare alla socializzazione. Un aspetto fondamentale soprattutto ora che la pandemia ha reso più difficile il contatto umano. «Lavoro con gli anziani e posso testimoniare il disagio in cui ho trovato molti di loro dopo il lockdown – dice Suighi – Ottantenni con problemi di alcool che sono ripiombati nella dipendenza oppure sono caduti in depressione. I mesi di isolamento sono stati devastanti per i più fragili». Il co-housing vuole combattere proprio questo: la solitudine.

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