Applicare il codice Cuomo al mondo del lavoro italiano, costringendo alle dimissioni anche solo chi molesta le donne sul luogo di lavoro con comportamenti inopportuni, assicurerebbe un buon ricambio generazionale in maniera certamente più efficace di Quota 100 e garantirebbe probabilmente una parità di genere simile a quella delle quote rosa. Mentre il governatore dello stato di New York dava addio in tv al suo ruolo di amministratore, e probabilmente anche a una eventuale candidatura futura alla Casa Bianca, per le molestie nei confronti delle sue collaboratrici, mi veniva in mente il colloquio di lavoro durante il quale un 60enne, dopo aver valutato il mio curriculum e la mia prova, mi spiegava di aver avuto una fidanzata proprio col mio cognome, proprio nella mia città di origine. Non accettai mai quel lavoro, precario ovviamente.

La collega a fianco a me nel frattempo stava raccontando di quando il videogiornalista, questa volta trentenne, che le aveva chiesto di fargli da assistente, l’aveva direttamente aggredita fisicamente. Un’altra di fronte al parlamento si era abituata alle rimostranze dei colleghi perché i suoi vestiti scollati o corti li distraevano dal lavoro. Un’altra collega rilanciava con l’aneddoto dell’alto diplomatico che cercava di sfregarsi contro il corpo delle stagiste dando loro la precedenza in ogni ascensore della sede di una grande istituzione internazionale.

L’ascensore, madeleine dei tempi nostri, mi ha ricordato il direttore che invitava a casa sua le redattrici, quando non le invitava a cena o per un aperitivo, e in quel percorso obbligato al suo appartamento cercava di annullare le distanze sociali. Un’altra collega al termine del primo stage in un noto quotidiano, la sua prima esperienza nella professione giornalistica italiana, si è sentita salutare con un nobile commiato: «Sei una delle poche stagiste che è uscita in verticale». Molestie pesanti e ripetute hanno portato anche a siluramenti di alto profilo in redazioni che ho frequentato. Troppo pochi, considerando quello che succede in molti luoghi di lavoro. Non serve nemmeno citare statistiche, che pure confermano il tasso di  diffusione delle molestie in Italia, se non c’è una persona di sesso femminile che in una stanza di una redazione di fronte ai venti minuti di Cuomo non abbia un aneddoto simile o peggiore da snocciolare.

Eppure, considerando il livello del nostro dibattito pubblico, anche ai vertici della politica e della grande industria italiana, la vicenda Cuomo rischia di essere derubricata a un estremismo, effetto collaterale del puritanesimo anglosassone e ancor più statunitense. I più sentimentali, e tra i molestatori ci sono anche quelli sentimentali, possono piangere sulla tomba della seduzione. Signora mia, i bei tempi andati, sono argomentazioni da sviluppare pure senza troppa fatica, visto che in questi anni di MeToo sono state ampiamente teorizzate.

Proprio il fatto che le molestie siano così ubique e che le si consideri così banali, poco degne di reazione e di attenzione, di dignità di essere discusse, raccontate, denunciate, «ne fanno un elemento portante del sistema patriarcale», ci avvertivano già due anni fa Patrizia Romito e Marachiara Feresin, nel volume Le molestie sessuali, pubblicato da Carocci. È questa quotidianità che le trasforma in un trauma sistemico, non meno doloroso ma spesso introiettato come norma sociale o come codice di una organizzazione del lavoro.

Chi considera le dimissioni di un uomo a cui non possono essere addebitate violenze sessuali in senso stretto come una vicenda estrema è forse abituato ad accettare o a considerare normale molto di peggio. Basterebbe leggere il libro Toglimi le mani di dosso, pubblicato sei anni fa per ChiareLettere da Olga Ricci, una collega allora trentenne, animatrice anche di un blog sulle molestie negli uffici italiani – Il porco al lavoro – che era un piccolo grande atto rivoluzionario. 

L’unico disguido di utilizzare il codice Cuomo per un ricambio ai vertici di molti posti di lavoro italiani è che probabilmente non ci sarebbero abbastanza donne nella posizione di vice per sostituire i molestatori decaduti. 

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