Il problema delle aggressioni omotransfobiche «è stato ingigantito» e invece «riguarda solo alcune decine di casi», rivela Alberto Contri alla commissione giustizia del Senato. L’ex presidente della Fondazione Pubblicità Progresso, contrario alla legge Zan, vuole far sapere ai commissari di essere lui, piuttosto, una vittima: degli attacchi della rete per aver scritto che «non mi spiegavo come mai, per esempio, pur essendo il 95,5 per cento le famiglie italiane eterosessuali (dati Istat) nella giuria di Ballando con le Stelle (Servizio Pubblico) ci fosse una sovra-rappresentazione di gay (due su cinque) nella giuria».

Nel post citato aveva fatto anche un uso disinvolto della parola «checca», atteggiamento «disdicevole», «una caricatura che nuoce proprio all'immagine delle persone gay». Lui naturalmente non ce l’ha con i gay «anzi ha un amico», proprio come quelli che vogliono dimostrare di non avercela con i gay, l’amico era del regista Franco Zeffirelli che però «viveva la sua sessualità senza farne uno stile di vita».

Si dovrebbe parlare della legge e invece si parla di un po’ di tutto anche nella seconda puntata della serie delle audizioni sulla Zan in videocollegamento. Nella prima puntata, la settimana scorsa, ha preso la parola suor Monia, la marcellina membro del Consiglio Scuola della Conferenza episcopale, e Yassine Baradaine, segretario dell’Unione delle comunità islamiche. Ma almeno a intervalli erano stati ascoltati anche costituzionalisti e magistrati, anche se in maggioranza contrari al testo.

Atti sessuali di ogni genere

Ieri invece il presidente leghista Andrea Ostellari ha selezionato cinque interventi, un fuoco di fila di contrari. Anche stavolta si sentono ragionamenti pieni di fantasia, e di fantasie. Alberto Contri se la prende con le serie di Sky che «fanno promozione del gender» che mandano in onda «ragazzini impegnati a fare atti sessuali di ogni genere». Sulla transessualità lancia un monito solenne, «voler modificare il proprio corpo significa ribellarsi contro contro il creatore per chi ci crede, comunque contro la natura. Il vicedirettore della Verità, Francesco Borgonovo avverte «la legge ha un’impostazione ideologica», scova la “lobby gay” che la promuove ma riferisce da fonti aperte che «non tutti gli omosessuali sono d’accordo».

No all’identità di genere

Francesca Izzo e Marina Terragni, fondatrici del movimento femminista Se non ora quando-Libere (nato da una scissione dell’iniziale Snoq) sono promotrici di un manifesto contro il provvedimento, chiedono di togliere l’aggravante per «misoginia» – un errore simbolico, dicono, le donne non sono una minoranza - e accusano la legge di utilizzare l’espressione «identità di genere» per «annullare la differenza sessuale». Terragni in particolare «svela» che è questo l’obiettivo strategico del testo, «il contenuto più controverso celato nella glassa della non discriminazione» che quindi è solo una «foglia di fico». Terragni rivendica la sua lunga militanza per i diritti di omosessuali e gay ma accusa il Pd di essere ormai diventato «un partito transumanista» (e cioè – se capiamo bene – di avere come obiettivo «la libertà di ricerca scientifica per ottenere la libertà di evolvere, di mutare, di trasformare il proprio fenotipo e il proprio genotipo»). Il discorso plana poi sul «gran tour dell’identità fluida» che si starebbe svolgendo nelle scuole italiane, e alla fine atterra sulla gravidanza per altri, altrimenti detta utero in affitto.

Dov’è la gravidanza per altri

E qui il senatore Simone Pillon (quello del Convegno sulle Famiglie di Verona e quello che «è naturale che i maschi siano più appassionati di discipline tecniche, tipo ingegneria mineraria» e le donne «più portate all’accudimento») chiede con malizia: scusi dottoressa, ma che c’entra la gravidanza per altri con la legge Zan? Già, buona domanda. Ma si risolve in un gioco delle parti. Izzo deve ammettere in premessa che «nella legge non c’è un riferimento diretto o indiretto alla pratica della Gpa» ma spiega che nella legge è contenuto «il principio» della Gpa, cioè «la negazione dell’asimmetria fra i sessi nella riproduzione». «E lì che si vuole arrivare» concorda Terragni.

Follow the money

Per capire a chi giova la legge Zan viene invocato Giovanni Falcone, il magistrato vittima della mafia: «Follow the money», consiglia ancora Terragni. Contri le fa eco: chiede di guardare meglio dentro i conti dell’associazione «Io Partecipo» di Ivan Scalfarotto (sottosegretario di Italia viva ): «Promuove l’inclusione» ma anche «l’inclinazione lgbt» perché «vende di più». Insomma intorno all’arcobaleno girano «ingenti finanziamenti» e qui cita le sponsorizzazioni dei Pride: per carità, è vero che molte grandi aziende fanno campagne gayfriendly in cui le ragioni del mercato sono in unione civile con quelle dei diritti dei dipendenti e degli acquirenti.

Omosessualità contraria alla sostenibilità

Contri è inarrestabile nel disvelamento delle macchinazioni dietro la legge, spiega l’assedio culturale «gender» (qualsiasi cosa voglia dire) di cui siamo tutti vittime. Rivela l’impensabile, e cioè che «la promozione dello stile di vita lgbt è incompatibile con lo sviluppo sostenibile» e cioè che «l’omosessualità è inconciliabile con la ricerca globale della sostenibilità» e cioè che «gli omosessuali non possono fare figli e la denatalità è un grave pericolo per il pianeta». Il centrosinistra e i Cinque stelle decidono di non fare domande, per non allungare il brodo del delirio che va in scena. Ma come si fa, chiede Paola Binetti, a combattere la maggioranza degli italiani è tenuta in ostaggio dalla propaganda? E come si fa lo spiega l’avvocato Giuseppe Zola, rappresentante del centro studi e ricerche sulla famiglia dell’università Cattolica: «Il clima è contrario», la legge non è solo «incostituzionale» ma «anticostituzionale», ma c’è una soluzione: «Bisogna mettere insieme tutte le culture, tutte unite sul concetto di sanità mentale», dice così, «per fare clamorose iniziative comuni che proclamino al paese una direzione sana sul terreno dell’affettività», insomma trasformare l’opposizione alla Zan «in un’azione politica e sociale delle forze sane del paese».

Il Pd sconfortato

Il sipario si chiude con la promessa di un altro giro di audizioni. Il capogruppo Pd Franco Mirabelli alla fine scrive su Facebook un post sconsolato: «Il merito della legge Zan è sparito dalla discussione», «in questo processo alle intenzioni vale tutto», «abbiamo scoperto un Paese che non conoscevamo pieno di genitori che danno gli ormoni ai figli, scuole e centri in cui si promuoverebbe la transizione, in cui la comunità lgbt assoggetta e discrimina chi non ci sta, in cui si cambia sesso ai bambini, in cui si inizia la transizione per poter andare nelle carceri femminili o per fare sport con le ragazze, come se non ci fossero regole», «Io continuo invece a vedere un Paese in cui due persone dello stesso sesso che si amano sono vittime di violenza e discriminati così come i trans e tante donne per il fatto stesso di essere se stessi. Serve una legge contro tutto ciò e che faccia crescere la cultura del rispetto delle differenze». 

Il bivio

Ma questa legge, dopo essere stata approvata alla camera dalla maggioranza giallorossa, sta misteriosamente, ma neanche troppo, perdendo voti da parte di chi l’ha votata fin qui. Il ddl Zan si avvicina pericolosamente a un bivio. Da una parte la strada indicata da Italia viva che propone un tavolo di discussione con tutte le forze politiche, e quindi apre alla possibilità di qualche emendamento. Significherebbe cambiare il testo e rimandarlo alla camera per la terza lettura, con buone probabilità di affossarlo. L’altra via è quella di un voto a maggioranza in commissione per il passaggio diretto in aula. Ma è ugualmente pericolosa: i voti segreti potrebbero essere fatali.  

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