L’attuale caleidoscopio di segni, colori, forme, font, presente nei simboli dei partiti, sempre più simili a loghi o marchi commerciali, senza particolari significati e identità politiche e ideologiche è una veritiera fotografia dell’attuale quadro politico.

Per decenni la scheda elettorale che gli elettori italiani si sono trovati di fronte presentava sempre gli stessi simboli, con pochissime variazioni: la falce martello con stella e bandiera del Pci, quella con il libro del Psi, lo scudo crociato democristiano, l’edera repubblicana, il braciere con la fiamma neofascista.

La stessa operazione di presentazione dei contrassegni, che si conclude il 13 agosto alle 14, assumeva una forte valenza simbolica e politica.

Essere al primo posto nella scheda era per il Pci segno della sua capacità organizzativa e un aiuto per i propri elettori meno alfabetizzati. Cosicché Enrico Berlinguer poteva concludere l’appello a Tribuna Elettorale con la raccomandazione: «Mettete la croce in alto a sinistra».

Questa primazia comportava che i compagni incaricati dell’operazione si posizionavano fuori dall’ufficio del Viminale con molti giorni d’anticipo.

E quando negli anni Settanta i radicali pensarono di insidiarne il primato non sempre bastarono le parole per risolvere la diatriba.

La Dc in basso a destra

Sull’altro fronte, secondo una simmetria grafica che corrispondeva a un bipolarismo politico-ideologico, il simbolo della Dc doveva essere in basso a destra.

Scatenando un countdown su chi varcava per ultimo la soglia dell’ufficio elettorale prima dello scoccare del termine, con il rischio di rimanere esclusi dalla competizione elettorale.

Oggi del posizionamento del simbolo nelle schede francamente importa poco, anche perché vedendoli si fa fatica a collocarli e a leggerli. 

Fra le molte responsabilità di questa pessima legge elettorale c’è il fatto di spingere all’aggregazione di più liste, mentre la necessità di evitare la procedura della raccolta delle firme in un agosto vacanziero, fa sì che spesso, in una sorta di borsa mercato, vengano scambiati e prestati simboli esistenti riportandoli in piccolo, come nel caso di Centro moderato inserito nel simbolo di Impegno civico di Luigi Di Maio.

Con il risultato che i contrassegni sono spesso la somma o, meglio, l’accozzaglia di loghi e simboli già esistenti. Mentre, all’opposto, la loro forza dovrebbe essere nella loro semplicità e capacità di sintesi, secondo un processo di sottrazione e non certo di addizione.

Alberto da Giussano e fiamma tricolore

I contrassegni che si stanno presentando in questi giorni sono esemplificativi di queste tendenze. I simboli storici, sopravvissuti dalla prima repubblica sono soltanto due: l’Alberto da Giussano, ancora presente nel simbolo di una lega che nel frattempo ha però cambiato nome da Lega nord a Lega Salvini, e la fiammella del Msi riportata in basso nel simbolo di Fratelli d’Italia, privata della base che si voleva essere la bara di Mussolini, in questi giorni oggetto di polemiche.

Qua e là, sfumato, tagliato, sullo sfondo, appare uno scudo crociato, quale eco del passato ma con ben poca rilevanza. Poche le novità nei simboli dei partiti principali, che si limitano al massimo all’aggiunta di qualche parola o dettaglio: l’appartenenza al Partito popolare europeo in quello di Forza Italia disegnato da Cesare Priori, Italia democratica e progressista in quello del Pd di Nicola Storto, che recupera in piccolo l’Ulivo di Andrea Rauch.

I simboli di un tempo, capaci di condensare in un oggetto o un fiore storie, passioni, appartenenze, sono stati sostituiti dai nomi dei leader che a partire dalla riforma elettorale del 1994, seguendo un processo di progressiva personalizzazione della politica, hanno iniziato ad essere riportati con sempre maggiore evidenza.

L’introduzione nel 1992 del colore nei simboli sulle schede elettorali ha ampliato a dismisura la palette cromatica a disposizione di grafici e pubblicitari.

Il rosa che sfuma nell’arancione nella “spunta” di Italia viva di Giovanni Sasso, il blu che degrada nel verde nel nome di Azione, l’arcobaleno di Unione popolare di De Magistris.

Tricicli e quadricicli

Tralasciando i casi più folcloristici, quali la lista Rivoluzione sanitaria del noto propugnatore televisivo di diete Adriano Panzironi che si presenta sotto il simbolo di una ghigliottina per evocare l’intenzione di decapitare i vertici della direzione sanitaria nazionale, fra i nuovi contrassegni già presentati c’è quello nato dall’unione fra Azione e Italia viva, che si limita a racchiudere i simboli dei due partiti in un cerchio con il nome di Calenda.

Stesso principio per quello delll’Alleanza verdi sinistra che racchiude ben quattro diversi soggetti. 

Ma il massimo, sino ad ora, è rappresentato dal contrassegno di Noi Moderati, composto da sei cerchi, cinque nomi di partito e tre nomi di leader. Un tripudio di bolli, nomi, cerchi concentrici inaudito. Anzi no.

Quando nel 1968 il Psi e il Psdi si presentarono alle elezioni politiche unificati nel Partito socialista unitario, rinchiusero i loro due storici simboli in un cerchio. Subito soprannominato “la bicicletta”. Oggi le schede sono piene di tricicli e quadricicli. Pedalare ragazzi, pedalare.

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