Il “sofagate”, la foto dello sgarbo del sultano Recep Tayyip Erdoğan che ha costretto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a sedere a distanza su un divano durante l’incontro con lei e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, ha fatto il giro dei media europei ed è finita nell’agenda della riunione dei capigruppo del parlamento europeo che si terrà martedì 13 aprile. A chiedere un chiarimento in plenaria, alla presenza di von der Leyen e Michel, ormai imputato d’Europa per non aver reagito all’affronto, è stata anzitutto Iratxe Garcia Pérez, la presidente del gruppo dei Socialisti&Democratici. Il Ppe l’ha seguita a ruota. Imbarazzati i liberali, il gruppo a cui appartiene Michel.

Erdogan è «un dittatore», ha detto senza giri di parole il premier Mario Draghi durante la conferenza stampa del pomeriggio, con il quale però bisogna «cooperare». E infatti la foto inguardabile ha oscurato il risultato della missione, «la sostanza dell’incontro», quella che Michel ha detto di voler salvare per giustificare la sua decisione di «soprassedere» allo sgarbo che gli si consumava sotto il naso. Ma la versione di Michel fa acqua. Il portavoce della Commissione Eric Mamer ha spiegato che ad Ankara non c’era lo staff della presidente, causa Covid. Quindi con ogni probabilità a concertare i dettagli – esercizio maniacale della preparazione delle visite ufficiali – è stato il cerimoniale del presidente del Consiglio Ue. Difficile che la disposizione di tutti i protagonisti dell’incontro superblindato non sia stata concordata con largo anticipo. Peraltro il video dell’ingresso nella sala del summit sembra raccontare una storia diversa: Michel va dritto verso la sua poltrona, l’unica accanto a quella di Erdogan. Von der Leyen esita in piedi, finendo poi sul famoso sofà, di fronte al ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. Declassata. Eppure, viene spiegato da Bruxelles, nei trattati europei la posizione della presidente della Commissione risulta di rango superiore a quella del presidente del Consiglio. In caso di visita ufficiale all’estero si arriva a una equiparazione dei ruoli, non certo a un ribaltamento. Secondo Mamer nel corso del confronto von der Leyen «ha insistito sulla questione del ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul», ovvero l’accordo del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la violenza sulle donne. Alla luce di questo, è evidente l’esibizione anche simbolica di forza da parte del sultano nei confronti delle donne. E nei confronti della Ue, prona ai ricatti del presidente turco sulla questione dell’immigrazione. Che poi era uno dei temi in agenda.

Mettersi in mostra

Ma la matassa politico-diplomatica si complica. Ankara conosce i punti deboli dell’Unione. E così ieri un alto funzionario turco ha fornito una versione che scarica le responsabilità di Erdoğan. Le autorità di Ankara avrebbero seguito le disposizioni dello staff di Michel. Avrebbero anche offerto una disposizione degli ospiti per il successivo pranzo, con von der Leryen e Michel entrambi seduti di fronte a lui. Ma anche in questo caso la delegazione Ue avrebbe deciso di mantenere in disparte la presidente. Siamo alla presa in giro. Che però potrebbe contenere qualche scampolo di verosimiglianza, se non di verità. Michel, liberale e carrierista belga, ex premier figlio d’arte, è circondato dal sospetto di volersi mettere in mostra e di giocare una partita nel Consiglio, se non ai danni della Commissione. «Bruxelles games». Il mandato di Michel scade a gennaio, per prassi dovrebbe essere prolungato fino a fine legislatura. Ma ora il belga rischia. Un gruppo di eurodeputati Pd ne chiede le dimissioni, «colpiti e indignati» non solo dal «machismo» di Erdoğan ma dal «silenzio» del presidente di fronte a «uno sfregio politico e diplomatico – scrivono Massimiliano Smeriglio, Franco Roberti, Carlo Calenda, Pietro Bartolo, Elisabetta Gualmini, Pina Picierno, Pierfrancesco Majorino, Giuseppe Ferrandino – che aumenta la distanza che l’Unione dovrebbe tenere nei confronti di un governo autoritario, che reprime le persone libere, mette il guinzaglio alle università, umilia le donne e perseguita il popolo curdo. Non accettiamo che le nostre istituzioni debbano prostrarsi di fronte a un regime ostile allo stato di diritto».

Lo sfregio del sofà ha però coperto i motivi della visita. E i risultati. Al di là delle parole della conferenza stampa finale, nella sostanza è stata rinnovata la collaborazione fra la Ue e il regime turco, tra i principali partner economici dell’Unione. I due europei hanno offerto una rinnovata agenda di cooperazione. Cuore dell’accordo la questione dei migranti. «Apprezziamo l’accoglienza da parte della Turchia di quattro milioni di rifugiati siriani e concordiamo che l’assistenza dell’Ue venga continuata», dice Michel. La Commissione presenterà un nuovo piano di finanziamento per «contenere i flussi migratori», formula bugiarda che chiude gli occhi sui campi dove non si rispettano i diritti umani per i quali, dall’accordo del 2016, la Turchia ha già ricevuto 6 miliardi di euro. «La dichiarazione Ue-Turchia del 2016 rimane valida e ha portato risultati positivi», sono le parole di von der Leyen, «Ci aspettiamo che la Turchia mantenga i suoi impegni». Parole inequivocabili: l’Ue vuole continuare a contare sui campi turchi per proteggere le sue frontiere contro l’immigrazione. E questo val bene una genuflessione, e un sofà.

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