Mukhtar Ablyazov non era «un rifugiato politico ma un criminale ricercato per gravi reati finanziari». Di conseguenza l’espulsione dall’Italia di sua moglie, Alma Shalabayeva, e della figlia, Alua, non fu un abuso – un «sequestro di persona», come scritto nelle motivazioni della sentenza emessa dal tribunale di Perugia – ma un atto più che legittimo eseguito da chi invece ha subito condanne pesantissime per l’accaduto. O almeno è questa la deduzione di cinque deputati del Movimento 5 stelle, soddisfatti per la risposta ricevuta dal ministero dell’Interno a una loro interrogazione parlamentare: Mukhtar Ablyazov, il dissidente kazako ricercato dalle autorità di Astana a Roma nel 2013 col sostegno operativo di quelle italiane, non era un eroico esule, ma un truffatore seriale a cui davano la caccia le polizie di mezzo mondo.

I grillini, un tempo alfieri dell’opposizione kazaka, oggi sembrano convinti di aver trovato la prova regina che scagionerebbe definitivamente dalle accuse Renato Cortese, ex capo della squadra mobile di Roma, e Maurizio Improta, ex responsabile dell’Ufficio immigrazione della questura capitolina, entrambi condannati a cinque anni in primo grado per sequestro di persona.

Peccato che la risposta del Viminale non aggiunga nulla di nuovo a quanto già noto della vita a dir poco “spericolata” del dissidente kazako. E declassare Ablyazov da rifugiato politico a semplice latitante non potrà incidere più di tanto sulle sorti del processo d’Appello, perché nell’abuso contestato a Cortese e Improta il ruolo del “ricercato” è del tutto secondario: al centro della contesa c’è l’estradizione senza garanzie di una donna e di una bambina.

Le autorità

Ablyazov – a cui comunque le autorità britanniche prima e quelle francesi poi hanno riconosciuto l’asilo politico – sarà anche un pericoloso criminale, ma cosa c’entrano in tutto ciò la moglie e la figlia? «Nulla», secondo Astolfo Di Amato, difensore di Alma Shalabayeva. «Qui nessuno ha consegnato Ablyazov ai kazaki, hanno consegnato Alma e Alua, una bambina di sei anni, che nulla avevano a che fare con queste vicende», aggiunge. E quando i giudici di Perugia nelle motivazioni della sentenza definiscono l’espulsione e il trattenimento della donna «un rapimento di stato» non sono interessati al casellario giudiziario dell’uomo ricercato da Astana, giudicano il comportamento tenuto dalle autorità italiane con Alma e la figlia, espulse in tutta fretta dal territorio italiano con tanto di nullaosta controfirmato dal capo della procura di Roma Giuseppe Pignatone.

Eppure i pentastellati, e con loro buona parte del mondo dell’informazione, brindano alle nuove “rivelazioni” certificate dal Viminale. «Quanto si delinea adesso è che non solo Ablyazov non possedeva alcun permesso valido per stare in Italia», hanno scritto in una nota i deputati siciliani grillini Caterina Licatini, Francesco D’Uva, Aldo Penna e Davide Aiello, «ma anche che la sua presenza sul territorio nazionale risultava da una nota pervenuta dall’Interpol di Astana con cui si comunicavano le ricerche in atto per i reati di truffa e appropriazione indebita di grosse somme di denaro».

La campagna grillina

Non una parola su Alma e sul suo presunto rapimento, solo tentativi di screditare il marito dissidente, che per i parlamentari M5s all’epoca dei fatti venne «descritto mediaticamente come dissidente kazako e rifugiato politico in fuga da un regime dittatoriale». Tutto giusto. I deputati pentastellati omettono però un piccolo particolare: il mito di “Ablyazov martire” si diffuse proprio col contributo decisivo del Movimento 5 stelle che nel 2013 ha costruito una campagna durissima contro l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano, considerato al servizio delle autorità kazake. Per catturare il latitante, infatti, i diplomatici di Astana hanno bussato prepotentemente alle porte del Viminale e non, come da protocollo, a quelle della Farnesina. Forse perché al ministero degli Esteri avrebbero trovato Emma Bonino, da sempre sensibile al tema dei diritti umani e probabilmente consapevole dei report di organizzazioni internazionali come Amnesty International sulle condizioni di detenzione disumane riservate agli oppositori politici in Kazakistan.

Per i grillini c’erano tutti gli ingredienti per scatenare una bufera. E all’indomani dell’espulsione di Shalabayeva, una delegazione di parlamentari Cinque stelle – di cui facevano parte Alessandro Di Battista e gli attuali sottosegretari all’Interno e agli Esteri, Carlo Sibilia e Manlio Di Stefano – volarono fino in Kazakistan per esprimere solidarietà alla moglie del ricercato. «Volevamo dare alla signora Shalabayeva, e al mondo intero, un’altra immagine dell’Italia, quella che rispetta i diritti umani e che non si piega di fronte alla ragion di stato», fu il commento commosso dei “portavoce” Cinque stelle. «Abbiamo incontrato una donna forte e determinata, ci ha detto di essere ancora scioccata per l’espulsione, di essere stata lasciata senza documenti, senza denaro e priva di protezione legale mentre intorno a lei c’erano molte persone armate, ci ha assicurato di aver chiesto molte volte asilo politico in Italia dove vorrebbe ritornare».

E furono proprio Di Battista e gli altri a riferire all’opinione pubblica italiana le parole pronunciate da Alma Shalabayeva durante l’incontro: «Ho avuto paura che mi volessero uccidere. Ero convinta di trovarmi di fronte a dei mafiosi, anche quando qualcuno mi ha detto che era la polizia». Forse all’epoca i Cinque stelle non diedero troppo peso alle dichiarazioni della donna, presi com’erano dalla foga polemica contro Alfano e il governo di Enrico Letta, in carica da appena un mese col sostegno del Popolo delle libertà. Eppure, in quelle dichiarazioni era già delineato il percorso della vicenda giudiziaria che ha portato alle condanne di Perugia.

A distanza di otto anni dai fatti, i grillini hanno evidentemente cambiato opinione sul regime kazako, esercitandosi in una delle tante giravolte che hanno contraddistinto il Movimento dalla sua nascita a oggi. Ora che sono stati condannati in primo grado non un ministro ma poliziotti dal curriculum importante, i Cinque stelle hanno cambiato idea: Ablyazov era un balordo e chi ha espulso una donna e una bambina aveva le sue buone ragioni per farlo. Anche se non c’entravano nulla con gli affari di Mukhtar Ablyazov.

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