Ancora un altro rinvio sulla decisione della linea. È questo il punto, sempre provvisorio in questi complessi giorni di trattativa, che il Movimento 5 stelle riesce a mettere ai propri tormenti interni.

Sembrava che nella riunione congiunta di oggi a cui hanno partecipato i due gruppi parlamentari, i ministri pentastellati e il capo politico reggente Vito Crimi dovesse esserci una resa dei conti sull’opportunità o meno di sostenere il nuovo esecutivo, mentre la decisione finale è stata quella di andare a vedere cos’ha da offrire Mario Draghi.

Eppure, già pochissimo tempo dopo l’annuncio di Sergio Mattarella si erano alzate le prime voci di parlamentari che si esprimevano con forza contro Draghi.

Tra i primi arriva Alessandro Di Battista, che rilancia un suo vecchio articolo, l’elenco di tutti gli aspetti che rendono indigeribile l’ex presidente della Bce al Movimento (ieri mattina arriva il rilancio, con un nuovo editoriale in cui ribadisce che «un NO compatto da parte del Movimento all’ipotesi Draghi non solo sarebbe un gesto responsabile nei confronti degli italiani, ma aprirebbe praterie di dignità e, perché no, anche di governo»).

Seguono Danilo Toninelli («non ci chiedano di votare Draghi, abbiamo fatto di tutto. Perfino annientarci negli uffici a lavorare»), la ministra Fabiana Dadone («se qualcuno cerca scuse per manovre lacrime e sangue non troverò il nostro appoggio») ma soprattutto il capo politico Vito Crimi, che in un post su Facebook pubblicato a mezzanotte chiude: «Il Movimento 5 stelle non voterà per la nascita di un governo tecnico presieduto da Mario Draghi». Una posizione che «ha partorito senza consultarsi con nessuno», dice un deputato.

L’altra questione che indispettisce numerosi parlamentari è l’apertura di Draghi oltre i limiti della maggioranza uscente: «Non c’è margine di far votare ai nostri una soluzione che prevede un nome problematico come Draghi e l’inclusione di Forza Italia», dice un altro deputato nel primo pomeriggio.

Un po’ alla volta, nella mattinata di ieri escono ancora altre dichiarazioni, solo poche aprono a Draghi. Inizia a circolare pure una frase attribuita a Beppe Grillo in cui il fondatore del Movimento chiederebbe di «restare compatti e leali a Giuseppe Conte, dire no a un governo tecnico guidato da Mario Draghi». Non arriva nessuna conferma ad avvalorarne l’autenticità.

Con il passare delle ore i commentatori guardano con sempre maggiore attenzione al silenzio di Luigi Di Maio. Il ministro degli Esteri, in genere velocissimo a prendere posizione su qualsiasi dossier, si prende il suo tempo. Anche sui profili social dei colleghi Stefano Patuanelli e Alfonso Bonafede fino alle tre del pomeriggio, quando comincia l’assemblea, non compare nessun aggiornamento.

Le posizioni

Se dunque il capo politico, il leader Di Battista e una grande parte dei gruppi vedono in un’adesione al governo Draghi la negazione di tutti i principi ispiratori del Movimento, c’è un’altra parte dei parlamentari che vuole andare a vedere cosa il presidente incaricato ha da offrire. E, soprattutto, a tirare in ballo Giuseppe Conte. I piani del presidente uscente sono infatti tutt’altro che chiari. Una proposta a cui hanno difficoltà a dire di no anche i meno disponibili. A proporre una linea più distensiva nei confronti del nuovo giro di trattative provvedono i ministri dell’esecutivo uscente. Parte Bonafede, che spiega che «il percorso con Conte non finisce qui». Continua Federico D’Incà, che aggiunge: «Se rimaniamo fuori non possiamo contribuire al Piano nazionale di ripresa e resilienza, al piano vaccini. Vediamo le carte e poi ne discutiamo».

A metà pomeriggio parla finalmente Di Maio, che spiega come Draghi non vada attaccato ma la via è un’altra, quella di un «esecutivo politico, non tecnico». È questo il passaggio chiave, perché è proprio con la promessa di un governo che assomigli il meno possibile all’esperienza di Mario Monti che l’ex capo politico può assicurarsi la comprensione più ampia da parte dei gruppi, oltre che la possibilità per sé stesso di giocare di nuovo un ruolo rilevante nella prossima compagine. Un altro ottimo motivo per sondare Draghi.

Incognita Conte

A fare un passo in più è il presidente della Commissione affari europei alla Camera Sergio Battelli, che domanda chiarezza: «Voglio che sia chiaro che cosa vuol fare Conte, se un partito proprio, il leader del M5s o il leader del centro». Una richiesta che mira a capire a cosa punti l’ex presidente del Consiglio e avere così finalmente il quadro completo di tutti gli interessi coinvolti.

Perché mentre il Movimento cercava di definire la propria strategia, Conte non è rimasto a guardare ma ha mosso i propri contatti per portare quanti più parlamentari possibile dalla sua parte e sottrarli ai già esigui numeri di Draghi: la moneta di scambio sarebbe un posto nelle liste di un partito di Conte (anche se in serata la notizia viene smentita dal portavoce Rocco Casalino).

Le tracce di questa accelerazione si ritrovano negli interventi inflessibili nei confronti di Draghi di Paola Taverna e Danilo Toninelli, ma resta da vedere quando Conte uscirà allo scoperto e quanti parlamentari potrà riuscire a strappare al Movimento. Intanto, resta aperta la strada per un esecutivo politico».

 

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