Non solo il commercialista Michele Scilleri, ma altri manager e consulenti fanno parte di un ampio sistema strutturato per cui pagavano il 15 per cento del loro stipendio per occupare il loro posto nelle aziende pubbliche, anche le partecipate di stato. Come rivelato da Domani, il commercialista della Lega Michele Scillieri nell’ambito delle indagini sulla Lombardia film commission ha raccontato di aver girato una parte dei soldi che riceveva come consulente della fondazione della Regione Lombardia al partito, da altri documenti inediti interni della Lega di cui è entrato in possesso il Fatto Quotidiano emerge che il sistema era esteso e istituzionalizzato. 

Scilleri dopo aver ottenuto il suo ruolo nella fondazione della regione Lombardia che promuove la realizzazione di film, fiction TV e prodotti audiovisivi sul territorio lombardo, destinava una parte di quanto percepiva ai revisori contabili dei gruppi parlamentari del partito, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. Questi ultimi li giustificavano fatturando come consulenze allo studio di Scillieri. Il commercialista inoltre ha ammesso di girare il 15 per cento del suo compenso al partito.

Sul Fatto sono proseguite le rivelazioni. I documenti raccolgono i nomi di decine e decine di dirigenti e manager di aziende sanitarie pubbliche lombarde coinvolti nello schema. A questi si aggiunge un documento firmato dal segretario organizzativo della Lega Nord, Gianfranco Salmoiraghi, che nel 2001 informava che il Consiglio federale della Lega ha incaricato Giancarlo Giorgetti «di sovrintendere alla nomina dei nostri esponenti», ma non solo: «è dovere morale di quanti saranno nominati, di contribuire economicamente alle attività del movimento con importi che equivalgano, mediamente, al 15 per cento di quanto introitato».

L’ex tesoriere della Lega, Francesco Belsito, ha confermato al quotidiano: «I manager nominati nelle partecipate di stato dovevano versare una quota del loro compenso sul conto corrente del partito, sottoforma di donazione, così la scaricavano dalla dichiarazione dei redditi. Era la prassi, lo sapevano tutti».

Belsito ha aggiunto: «Per società come Eni, Poste, Finmeccanica o allora Invitalia, si versava invece direttamente sul conto della Lega Nord».

Una segretaria che ha lavorato nell’amministrazione nella sede centrale del partito in via Bellerio  per quasi 30 anni, ha raccontato che almeno fino al 2015 – quando insieme ai tanti altri dipendenti è stata lasciata a casa a causa dei tagli fatti da Matteo Salvini in nome dell’austerity – il sistema è proseguito sempre uguale. Giampaolo Pradella, che si occupava allora degli enti locali della Lega, telefonava a chi non versava l’obolo: «diceva: “Guarda, non è arrivato il contributo, ricordati eh”. Insomma, in modo velato gli si diceva: “Dai il contributo, altrimenti la prossima volta non vieni più nominato”». 

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