Povero Massimo Garavaglia. Neanche il tempo di brindare per la nomina a ministro del Turismo che gli sono piovuti sulla testa due macigni. Il primo è la decisione del governo di fermare fino al 5 marzo gli impianti sciistici, scelta che di fatto equivale alla chiusura di una stagione del resto mai partita. Giustamente preoccupato, Garavaglia ha deciso di cavalcare la protesta sparando a zero sul suo collega ministro della Salute, Roberto Speranza, accusato di aver spiazzato tutti con una decisione presa all’ultimo tuffo e solitaria (anche se in realtà era condivisa con il capo del governo, Mario Draghi). Il secondo macigno gli è stato scagliato da postazioni amiche, quelle della Lega, di cui Garavaglia è esponente di rilievo.

Il rischio «trappola»

Gian Marco Centinaio, che è del suo stesso partito, ma di una diversa tendenza essendo della corrente di Matteo Salvini, mentre Garavaglia è dell’ala «benpensante» di Giancarlo Giorgetti, sul Foglio lo ha avvisato: «Attenzione, il ministero del Turismo può essere una trappola per la Lega» nonostante Draghi abbia deciso di dotarlo di un portafoglio.

Centinaio sa di cosa parla perché è stato l’ultimo ministro prima che il turismo fosse messo sotto il cappello dei Beni culturali e trattato dal titolare Dario Franceschini (Pd) come una cenerentola a dispetto del suo peso economico (il 14 per cento della ricchezza nazionale, il Pil), sottolineato anche dal presidente del consiglio nel suo discorso programmatico in parlamento.

Scatola mezza vuota

Al netto della delusione per la mancata nomina cui forse aspirava, Centinaio ha individuato il problema: così com’è il ministero del Turismo è una scatola mezza vuota. I dipendenti, in realtà sono appena una trentina, per lo più a un passo dalla pensione, spesso demotivati dai continui sballottamenti degli ultimi anni tra un ministero e l’altro.

Le risorse sono modeste: una settantina di milioni di euro l’anno, da spartire oltretutto con l’Enit, l’ente del turismo, che spende senza brillare. I quattrini per gli investimenti turistici veri e propri e per gli incentivi (materia delicatissima in questo momento di crisi) passano dal ministero dello Sviluppo economico.

In base al titolo Quinto della Costituzione (quello che ha riorganizzato le competenze in direzione federalista) il turismo è inoltre materia di competenza regionale.

Ogni assessore si sente ministro in casa propria, ogni regione decide per conto suo, spesso in competizione con le altre.

Con esiti a volte ridicoli. Come la storia delle stelle per la qualificazione degli alberghi che in Italia sono diventate un firmamento. Contraddicendo la logica per cui esse dovevano orientare in modo omogeneo a livello internazionale le scelte dei turisti, in Italia ogni regione ha stabilito una sua astrusa classificazione particolare.

Per riempire di sostanza la scatola mezza vuota del ministero del Turismo oltre ai soldi ci vorrebbero interventi adeguati, forse a partire proprio dal cambiamento del titolo Quinto.

La tragedia della pandemia da Covid-19 e la non esaltante prova offerta da molte regioni in campo sanitario, che è un altro ambito di loro competenza, hanno riportato d’attualità la riforma del federalismo. Ma le regioni sono molto gelose delle loro prerogative turistiche e una decina di anni fa, ai tempi della ministra Michela Vittoria Brambilla, le difesero a suon di azioni giudiziarie contro il governo centrale. Riflette Costanzo Jannotti Pecci, imprenditore del settore e da anni dirigente confindustriale: «È più importante un sottosegretario di peso al ministero dello Sviluppo economico che un ministro del turismo, perché il turismo è un settore industriale come gli altri».

Spunta anche Arcuri

È forte il rischio, insomma, che il rinato ministero non possa fare molto, costretto a fare i conti con le regioni e le solite pratiche di questi ultimi anni durante i quali la parcellizzazione, le sovrapposizioni e la scarsa efficacia degli interventi sono diventati la cifra distintiva. In questo contesto si fa largo il parastato.

Qualche esempio: il commissario a tutto, Domenico Arcuri, si è parecchio allargato anche nel turismo facendo diventare la società pubblica Invitalia, con la controllata Italia turismo, una specie di ministero nel ministero, soprattutto per il Sud.

Invitalia orienta gli investimenti pubblici, controlla catene di alberghi, villaggi e porti turistici. Compra e vende. Da ultimo stava cedendo a Human Company per 137 milioni di euro (la trattativa è saltata qualche giorno fa) i villaggi ex Club Méditeranée: Floriana Village, Simeri Village, Sibari Green Village, Costa di Simeri, Torre d’Otranto, Alimini Village, Tonnare di Stintino, il Villaggio di Pisticci.

Anche la Cassa depositi e prestiti è attivissima. In funzione anticrisi ha istituito da poco un nuovo fondo nazionale del turismo che ha affiancato a un altro fondo precedente con una dotazione stellare di due miliardi di euro, cifra che al ministero neanche si sognano.

La Cassa non è nuova alle incursioni turistiche, qualche tempo fa era intervenuta per salvare con una partecipazione del 46 per cento la catena Th Resort della galassia di Comunione e liberazione guidata da Giorgio Palmucci. Palmucci è anche il presidente dell’Enit.

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