Le regioni faranno di tutto per aprire gli impianti sciistici, con l’obiettivo di salvare il salvabile in un settore chiave per il turismo del nord. La pandemia ha inevitabilmente compromesso l’inizio della stagione invernale e, nonostante la diffusione del virus sia sempre maggiore, è in corso un tavolo di confronto per approvare il prima possibile un protocollo sanitario di gestione delle stazioni sciistiche, in modo da poter riaprire non appena la morsa del Covid lo permetterà.

Nei giorni scorsi si è tenuto l’incontro sui protocolli per gli impianti e sarebbe stata anche ipotizzata una data comune di apertura: il 15 dicembre. «È la data della Coppa del Mondo in Val Gardena e quindi quella potrebbe essere la data di inizio stagione», ha detto l’assessore al turismo della provincia autonoma di Trento Roberto Failoni, che ha anche parlato di «sinergia completa dalla Val d'Aosta fino al Friuli» nel trovare una data comune di apertura degli impianti.

Per ora l’unica certezza è che tutto rimarrà fermo fino al 4 dicembre, data di scadenza dell’ultimo Dpcm, che prevede la possibilità di tenere aperti gli impianti di sci solo per le squadre e l’agonismo ma non per gli amatori.

Intanto, il confronto è ancora aperto all’interno della conferenza Stato Regioni, in particolare tra gli assessori alla sanità. Il protocollo, poi, dovrà essere approvato dal governo e dalle istituzioni sanitarie come il Comitato tecnico scientifico. Parallelamente si sta muovendo anche l’Associazione degli impiantisti (Anef) che ha presentato un documento di proposta di linee guida, che però è stato rifiutato dal Cts. Le misure sarebbero state considerate troppo blande per un’apertura in sicurezza e il comitato avrebbe rilanciato chiedendo certificazioni di negatività per gli sciatori, termoscanner sulle piste, strumenti di tracciabilità degli sciatori, oltre al contingentamento delle presenze nei comprensori. Misure molto complicate se non addirittura impossibili da mettere in pratica e che rischiano di scoraggiare qualsiasi iniziativa, ma Anef presenterà una seconda proposta di linee guida.

In ogni caso, tutto dipende dall’andamento della pandemia: per ora, infatti, regioni molto interessate dal turismo invernale come Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte e Alto Adige sono zone rosse, quindi con chiusura totale, impossibilità di spostarsi tra comuni e alberghi ovviamente chiusi. Tuttavia, chi si occupa del settore vuole rimanere ottimista. «Oggi come oggi nessuno può sapere cosa succederà a Natale, quindi l’obiettivo è farsi trovare preparati», spiega il senatore altoatesino dell’Svp, Dieter Steger. «Per questo è importante avere pronto un protocollo di sicurezza, che metta in condizione di poter aprire subito gli impianti, se e quando ci sarà la possibilità».

Come il trasporto pubblico locale

Tra le ipotesi al vaglio per la stesura del protocollo, c’è quella di considerare gli impianti di risalita come «analoghi» ai mezzi di trasporto pubblico locale. In questo modo, dunque, si potrebbe mutuare il protocollo già redatto e approvato per gli autobus e le corriere, adeguandolo per le speciali esigenze degli impianti a fune ma senza dover partire da zero.

«Stiamo lavorando in questo senso con tutte le regioni. Ma interpretare in via analogica il protocollo di sicurezza già presente per il trasporto pubblico locale sarebbe molto più semplice, ovviamente operando i necessari distinguo per le funivie», spiega Steger. Se accettata, l’analogia sarebbe un espediente ingegnoso per facilitare il lavoro di stesura del protocollo e ne aumenterebbe anche le chances di accoglimento. Secondo Steger, le basi per chiederla ci sarebbero tutte: «In Alto Adige le funivie non servono solo per gli sciatori ma sono forme di trasporto per i paesi di montagna, con scolari che vanno a scuola grazie a quelle».

Il via libera, comunque, sarà nazionale per tutte le regioni interessate, senza possibilità di singole fughe in avanti. I singoli territori, però, hanno già preso iniziative in caso di apertura: il Trentino ha infatti annunciato che la Provincia investirà «5 milioni di euro per garantire l’innevamento programmato sul demanio sciabile», ha detto Failoni.

In annate normali la spesa ricadeva sui privati ma, «in considerazione delle incertezze dovute all’attuale contesto pandemico, riteniamo giusto dare un sostegno a parziale ristoro dei costi sostenuti nelle prossime settimane dagli operatori economici». Proprio l’innevamento delle piste, infatti, è un passaggio cruciale per mantenere la stagione soprattutto quando l’inverno inizia in ritardo e con poca neve naturale, come sta avvenendo quest’anno. Anche se, prosegue Failoni «questi contributi si attiveranno solo nel caso di una significativa riduzione del fatturato rispetto alla stagione invernale 2019-2020». Il rischio, nel peggiore dei casi, è che i 5 milioni vengano spesi per innevare piste che rimarranno intoccate.

Un rischio che riguarda anche la vendita dei ticket stagionali: il consorzio Dolomiti Superski che se ne occupa per il comprensorio più grande, quello delle Dolomiti, ha già predisposto un listino di rimborsi in base alle future aperture.

L’emergenza economica

L’apprensione dei territori montani è dovuta al fatto che il turismo sciistico rappresenta, per alcune località, la principale fonte di ricchezza. Al netto delle mete turistiche di lusso come Cortina, Madonna di Campiglio o Courayeour, infatti, l’economia di moltissimi piccoli comuni si basa proprio sull’indotto – dagli alberghi alla ristorazione - prodotto durante la stagione invernale, grazie soprattutto al turismo straniero. Proprio quello che, in questa fase, è sostanzialmente azzerato.  

Nel solo Trentino, la cifra è di circa 2 miliardi di euro l’anno, che rischiano di finire bruciati a causa della pandemia, con un altrettanto drastico crollo dei posti di lavoro. In Alto Adige, l’indotto dichiarato è di circa 1,7 miliardi di euro, con una occupazione di quasi 2 mila persone tra lavoratori fissi e stagionali. Secondo un’indagine della Camera di Commercio di Milano, in Italia sono 1.125 le attività legate alla montagna e occupano circa 9 mila lavoratori. La prima è il Trentino Alto Adige con 3 mila addetti, poi il Veneto con 1200 e Lombardia e Piemonte con mille. Senza il coronavirus, il business degli sport invernali si sarebbe dovuto incrementare nei prossimi anni grazie all’appuntamento dei giochi olimpici di Milano-Cortina 2026. Ora, invece, l’apertura della stagione 2020 è un’incognita.

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