Deve essere il “soffio” del Nazareno. Che in periodo quaresimale evoca inevitabilmente l’idea di sacrificio, conversione e risurrezione. Il sacrificio al Nazareno, intesa come sede del Pd, lo ha compiuto Nicola Zingaretti che messo alle strette dalle correnti del partito ha deciso di presentare la sua lettera di dimissioni.

La conversione invece è quella del partito che, come accaduto più volte in passato – tra reggenti e non, andate e ritorni siamo al decimo segretario dall’anno della fondazione – si prepara all’ennesimo tentativo di risorgere dalla proprie ceneri.

Per farlo, e anche qui siamo nel campo del già detto e del già sentito, serve un “leader vero”, una figura “forte” e “autorevole”. E il nome che al netto delle smentite del diretto interessato sta circolando è quello di Enrico Letta. Persona stimata e stimabile che insieme a tanti altri fa parte di quella che potrebbe essere definita come la “riserva dei segretari”.

Perché se c’è una cosa che il Pd ha ostinatamente praticato in questi anni è l’autoassoluzione. Letta ne è esempio concreto. A volerlo oggi segretario sono gli stessi, Dario Franceschini in testa, che nel 2014 lo hanno cacciato da palazzo Chigi per sostituirlo con Matteo Renzi. La sua vicenda politica incrocia poi quella di Romano Prodi e del compianto Franco Marini, che nel 2013 sono stati impallinati dal fuoco amico democratico lungo la strada verso il Quirinale, provocando di fatto le dimissioni dell’allora segretario Pier Luigi Bersani e del suo vice, Letta per l’appunto.

Cosa hanno in comune tutti questi nobili decaduti? Che prima o poi dalle parti del Pd c’è qualcuno che li rimpiange e vorrebbe riportarli in servizio permanente effettivo. Ci sono quelli che vorrebbero ripartire da Letta, quelli che rimpiangono la stagione prodiana e quella bersaniana, chi rievoca gli antichi fasti di Walter Veltroni e chi invece sogna una restaurazione renziana (magari sostituendo Zingaretti con Stefano Bonaccini). 

Nessuno, né in fase di rimozione né in quella di riabilitazione, sembra porsi la più elementare delle domande: ma gli elettori, gli iscritti, cosa ne pensano? Non importa. Il segretario migliore, ça va sans dire, è sempre quello che non c’è più. Il candidato premier migliore è sempre quello che è stato defenestrato. Così come quello per il Quirinale è quello che il partito non ha avuto il coraggio di sostenere.

Il Pd, come il mitologico dio Crono, continua a divorare i suoi figli. Ma evidentemente li trova così buoni che non riesce proprio a fare a meno di rimangiarseli.

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