«Dentro la maggioranza c’era chi some Salvini vaneggiava di abolizione o soppressione del Codice appalti, il governo ha preferito un’altra strada. Io confido che ci saranno ancora miglioramenti e che possano trovare una condivisione» dice Chiara Braga, deputata e responsabile Transizione ecologica del Pd, e rincara: «La Lega si è dovuta rimangiare la sua idea di scassare il sistema, ma sono stati sconfitti completamente».

Il decreto Semplificazioni è atteso in parlamento, e il Partito democratico è pronto a dare battaglia su appalti, ambiente e lavoro, ma solo su alcuni aspetti. Fino a poco prima di entrare in consiglio dei ministri, la tensione sul decreto che spazia dalla governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza alle valutazioni di impatto ambientale per i nuovi impianti di produzione di energia rinnovabile, è stata alta: «Giustamente si concentravano molte attese, ma credo si sia fatto un buon lavoro di dialogo dentro il governo e le parti economiche sociali» spiega Braga.

Per i dem due sono i successi: la clausola per l’occupazione femminile e giovanile, diventata vincolante, e la soppressione del massimo ribasso «a maggiore tutela dei lavoratori e che risponde ai rilievi sollevati dall’Europa».

Trasparenza e controllo

«L’opinione sull’impianto del decreto è positiva». Alcuni punti però saranno sicuramente modificati, il come dipenderà dalle forze in campo. Il decreto proroga fino al 2023 la disciplina sugli affidamenti senza gara: «Si può allargare lo spazio per la concorrenza pur tenendo tempi stretti». Non necessariamente, specifica la responsabile Pd, gli affidamenti diretti causano problemi sul fronte della legalità: «Il problema è più dei contrappesi».

Così come per gli appalti integrati, cioè l’affidamento congiunto sia della progettazione esecutiva sia dell’esecuzione dei lavori «i contenuti del progetto di fattibilità tecnica economica devono essere definiti con più dettagli, il progetto preliminare non pul essere troppo scarno, altrimenti c’è il rischio che la stazione appaltante si affidi completamente all’impresa con varianti in corso d’opera che fanno aumentare i tempi e i costi».

Un rischio che riguarda ad esempio ferrovie e strade: «Se a mettere a gara l’appalto integrato è una Regione, Rfi o Anas è in grado di controbilanciare il rapporto col privato, le piccole invece no».

Il problema lo ha individuato anche il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili Enrico Giovannini, che ha assicurato in un’intervista al Corriere della Sera che il Consiglio superiore dei lavori pubblici «definirà i contenuti minimi, anche qualitativi e innovativi, del progetto».

Le battaglie che non ci saranno

I dem puntano a «fare da guardiani» alla clausola di occupazione femminile e giovanile: «Un’ipotesi potrebbe essere un osservatorio, o comunque istituire una forma di monitoraggio dell’impatto». Il decreto prevede che le aziende, anche di piccole dimensioni che partecipano alle gare per le opere del Pnrr e del Fondo complementare, presentino un rapporto sull’inclusione di donne e giovani e che le stazioni appaltanti includano nel bando l’obbligo del partecipante alla gara di riservare a giovani con età inferiore ai 36 anni e donne il 30 per cento delle assunzioni necessarie per eseguire il contratto.

Un altro elemento che il Pd ritiene positivo è il rispetto dei contratti nazionali di lavoro anche per i subappaltatori. Questo significa però che resteranno tali e quali i rapporti regolati dai contratti multiservizi e servizi fiduciari, rapporti di lavoro che rispettivamente possono scendere fino 6-7 euro lordi l’ora e a 4,60 euro. Un tema che riguarda un’altra battaglia, quella sul salario minimo.

Per ora non è prevista: «Con la nuova norma sul subappalto si farà un passo avanti. Sul salario minimo ci sono varie proposte di legge, anche il Pd ne ha depositata una. Mi auguro che con questa maggioranza si creino le condizioni per arrivare a una soluzione. Questo è uno di quei fronti in cui bisogna sperare che le rigidità ideologiche della destra vengano superate».

L’ambiente

Uno dei punti meno discussi del decreto legge è quello relativo alle autorizzazioni per la creazione di nuovi impianti di energia rinnovabile e no. Infatti saranno semplificate le procedure autorizzative che riguardano l’installazione di infrastrutture energetiche e gli impianti di produzione di energia elettrica, senza discrimine, quindi anche le centrali a gas.

Per i vari passaggi della Valutazione di impatto ambientale – per cui sarà creata una nuova commissione Via ad hoc con quaranta membri, esattamente come la commissione Via già esistente –vengono stabiliti passaggi più brevi per le varie procedure d’esame, tuttavia qualora la commissione non arrivasse in tempo, si passa a un sostituto nominato dal governo. Di fatto un commissario.

Luigi Boeri, ex presidente della Commissione Via-Vas nominato dal precendente ministro, Sergio Costa, è scettico sul taglio dei giorni: «Secondo me servirà a poco. Già i tempi precedenti erano contingentati. Già ora è una mera follia: una sorta di treno in corsa che non consente deroghe». Oltre allo scetticismo sui tempi, obietta: «Ci sarà una nuova commissione indipendente. Avere due commissioni su logiche diverse potrebbe dare valutazioni contraddittorie per il raggiungimento degli obiettivi, anche se è ancora troppo presto per dirlo con certezza».

Per il Pd la nuova struttura invece è positiva: «La valutazione si deve svolgere comunque secondo le norme». I ritardi sono spesso dovuti a mancanze nella presentazione del progetto: «Deve migliorare la qualità dei progetti presentati. Spesso la commissione deve fare richieste di integrazioni. I proponenti devono partire con tutto in regola subito, pena il respingimento iniziale». Ma su questo per ora non sono previste modifiche: «Anche senza farlo per legge tocca alle imprese, non hanno più alibi. Potrebbe eventualmente intervenire la Commissione».

Paesaggio e energia

Gli interessi in campo, ricordano tecnici e politici, sono molti. I progetti che potranno avvalersi delle semplificazioni non sono solo quelli del Piano nazionale di ripresa e resilienza – dunque finanziati -, ma anche quelli del Piano nazionale integrato energia e clima per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Tutti terreni di scontro fra comunità locali, ambientalisti e imprese. In attesa che vengano definiti meglio, Carlo Tamburi, direttore Enel Italia, ha scritto un articolo a favore dei pannelli fotovoltaici sul Corriere della Sera, asserendo l’importanza di sviluppare anche l’agrivoltaico, ossia il fotovoltaico integrato alle coltivazioni.

Come riportato da Domani, l’Enel inoltre ha in cantiere diversi progetti di centrali a gas, soprattutto in vista dello spegnimento delle centrali a carbone. Per il Pd «se non acceleriamo moltissimo sull’installazione di nuovi impianti di energia da fonti rinnovabili non raggiungeremo gli obiettivi che ci siamo fissati». Il gas «è uno dei passaggi per la transizione, compatibili però con l’obiettivo del superamento delle fonti fossili». L’Eni spinge sull’idrogeno blu da metano e lo stoccaggio della CO2, che potrebbero rientrare nelle semplificazioni: «Non però tra i progetti finanziati dal Pnrr e dal fondo complementare» sottolinea Braga. Per il resto «non abbiamo nessun pregiudizio sulle tecnologie, ma non è corretto che si investano fondi europei in questo senso».

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