Al campo largo non va tutto bene, ma al Pd va bene un po’ ovunque, e particolarmente nelle città del nord, dove il campo largo vince e anche dove no. Era quello su cui puntava Enrico Letta. Che è stato bravo ma anche fortunato. Gli è andato bene anche il referendum: il segretario ha chiesto al suo partito di votare cinque no e il sì ha straperso.

Ma il colpo grosso del segretario è un altro. Nel pomeriggio, mentre si solidificano i numeri, al Nazareno possono finalmente annunciare l’obiettivo raggiunto: «Siamo il primo partito». I sondaggi davano il Pd spalla a spalla con Fratelli d’Italia. Non ci credeva nessuno. Eppure, calcoli alla mano, la speranza del sorpasso passava dal peso delle liste del Pd e non necessariamente dalla vittoria nelle città. È andata meglio del previsto. Letta lo spiegherà dai social. Ormai studia da candidato premier: la coalizione giallorossa nelle città non dà frutti ovunque, anzi a Genova e Palermo perde rovinosamente, ma a livello nazionale resta una amara necessità. Il segretario non è a Roma: è a Parigi proprio a cogliere una soddisfazione da leader: è stato invitato a presentare la sua proposta di Confederazione europea da un network di intellettuali di mezzo mondo.

Dalle città al voto le soddisfazioni arrivano. Anche se il «campo largo» non funziona ovunque: e dove vince, come a Padova, il M5s sta ai minimi. È il problema del segretario, da ora in poi: il Pd ha un alleato, ma senza voti. E le vittorie raccolte, e quelle attese al secondo turno, non nascondono la questione, anzi la esasperano: l’alleanza con M5s non basta a governare le città, figuriamoci a livello nazionale. La messe di liste civiche prefigura il lavoro che il Pd farà nei collegi. Resta il punto della vigilia: che il «campo» non sarà mai abbastanza largo da contenere M5s ma anche Azione di Carlo Calenda, che però potrebbe essere numericamente indispensabile.

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