Il messaggio è preciso e i toni sono impazienti: è il momento di riprendere il controllo sulla gestione della pandemia e di dire sì al Mes, il fondo salva Stati da cui attingere fondi per la sanità. La direzione nazionale del Partito democratico, che continuerà lunedì 26 ottobre per permettere tutti gli interventi, dà un ultimatum nemmeno troppo velato e il destinatario è uno solo: il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. «Con questa nave in tempesta non è il momento di navigare a vista», ha detto il segretario Nicola Zingaretti nella sua relazione, «Adesso c'è bisogno di un cambio di passo. Si lavora da alleati e non da nemici. Le sfide che ci attendono richiedono visione comune del Paese e la solidità della maggioranza».

Nella sala del Nazareno, in cui un drappello ridotto di delegati nazionali si alterna al microfono con quelli collegati in videoconferenza, il clima è quello di chiara insofferenza nei confronti del modo in cui Conte ha gestito l’ultima fase dell’aggravarsi della pandemia. La richiesta del Pd è quella di una maggior incisività da parte del governo centrale, in discontinuità con la linea morbida scelta da Conte nell’ultimo Dpcm, che ha provocato lo strappo delle regioni, che hanno adottato ordinanze autonome e più stringenti.

«Occorre una stretta subito e occorre dare un segnale univoco e corale, in queste ore. Il resto si può considerare secondario», è la sintesi di Zingaretti, che però rischia di arrivare tardi rispetto al dibattito convulso fuori dalla direzione: in contemporanea, infatti, Conte prende la parola al Festival del Lavoro ed esclude «un lockdown generalizzato», mentre il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, invoca il «lockdown totale» e il «blocco della mobilità tra regioni», anticipando che la sua regione «in ogni caso si muoverà prestissimo in questa direzione».

Sì deciso al Mes

La pandemia ha ripreso piede e gli ospedali di tutte le regioni stanno per andare in affanno, tra mancanza di strutture e di posti letto, proprio mentre sta per scadere il tempo per chiedere il Mes. Zingaretti ha ribadito la linea del Pd del sì al prestito europeo, perche «può essere attivato più rapidamente del recovery fund e con meno condizioni», sottolineando che la questione va affrontata nel merito e non «in modo ideologico», come hanno fatto i Cinque stelle. Il partito ha mostrato compattezza e, da Andrea Orlando fino al capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, la linea è stata quella di incalzare il governo perché finalmente la pratica si sblocchi.

«Se non è il Mes discutiamo su quale sia lo strumento. Che cosa diciamo alle Regioni per riorganizzarsi? Se vogliamo territorializzare il sistema sanitario dobbiamo dargli le risorse», è la sintesi di Orlando. Su questo ha spinto in particolare il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che ha chiesto «concretezza» e ribadito la necessità di accedere il prima possibile ai 37 miliardi di prestiti da investire per la sanità. Proprio il Mes, su cui anche Italia viva di Matteo Renzi ha confermato il sì deciso, potrebbe essere lo strumento concreto per incalzare Conte ad assumersi maggiori responsabilità politiche. Sul fondo salva Stati il premier ha sempre scelto la linea della cautela, non volendosi posizionare nello scontro tra gli alleati di governo e preferendo invece il silenzio. Ora, però, uno dei suoi azionisti di maggioranza sta dicendo con forza che il tempo dell’attesa è finito ed è il momento delle decisioni. Anche di quelle che rischiano di essere divisive, visto che dalla galassia grillina continua ad arrivare un no secco. L’ultimo, della capogruppo Cinque stelle in commissione Sanità, Elisa Pirro: «Non tutte le Regioni stanno impiegando le risorse messe a disposizione per l’emergenza e nel frattempo sentiamo parlare del Mes come panacea di tutti i mali. Non è così».

L’alleanza «politica»

Sullo sfondo è rimasto il tema dell’alleanza con il Movimento. Il segretario ne ha accennato ma in modo sfumato, forse per rispetto nei confronti dell’alleato alle prese con stravolgimenti interni e con gli stati generali alle porte. Inutile soffiare sul fuoco o ribadire l’ovvio: il governo regge e l’attuale alleanza non è messa in discussione. Quando i grillini avranno risolto la questione della leadership, ci sarà il tempo di affrontare di nuovo la tenuta dell’asse. L’unico ad articolare la riflessione su questo è Goffredo Bettini, il più fido consigliere del segretario e fresco fondatore di una nuova area all’interno del Pd. Da sempre teorico dell’alleanza coi Cinque stelle, Bettini ha ribadito che le ragioni dell’unione «non sono strategiche, ma politiche» e che se due forze si associano per gestire insieme il paese durante una fase così estrema «non possono che farlo perché rappresentano una risposta comune al dramma in corso». Ora, però, la questione all’ordine del giorno è solo una: affrontare la pandemia meglio di come non si sia fatto fino ad ora. Pur di farlo, nessun tassello è inamovibile, nemmeno l’inquilino di palazzo Chigi.

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