«Segnalare per la strada il pericolo di una buca è l’esatto opposto della volontà di volerci finire dentro. Il danno si compie se si nega l’esistenza di un pericolo e visto che la destra chiede e punta alle elezioni, se non si trova una soluzione su un compromesso accettabile e autorevole il rischio si concretizza». Il segretario del Pd Nicola Zingaretti apre e chiude, ancora una volta, la direzione del suo partito. Il suo ordine del giorno, approvato all’unanimità, contiene il mandato per la delegazione che oggi pomeriggio salirà al Colle, con la sua guida. Il voto, puntualizza, non è un obiettivo ma un rischio. A chi – tanti, nei gruppi parlamentari, a partire dal capogruppo al Senato, Andrea Marcucci – chiede di riaprire le porte a Renzi chiarisce che da parte del Pd non c’è un veto basato sul risentimento ma un problema di «legittimi fondati dubbi sulla affidabilità per il futuro, perché verremo giudicati dagli italiani in merito alla credibilità delle parole che utilizzeremo per definire il nuovo governo che decideremo di sostenere». Il suo partito in queste ore è impegnato «nel tentativo di dare vita a un governo nuovo, autorevole e riformista con una maggioranza ampia». Una parte molto rumorosa dei Cinque stelle avverte che Conte è una condizione indispensabile per mandare avanti la legislatura. Anche per il Pd c’è solo Conte. Ma se i veti incrociati arriveranno al Colle, il voto è un pericolo. «Che si scongiura solo costruendo alternative», aggiunge il suo vice Andrea Orlando.

Il fatto è che attorno al premier dimissionario ancora non si è coagulata una maggioranza sufficiente. Ieri al Senato è nato il gruppo degli Europeisti, dal Maie, ma all’ultimo Sandra Lonardo ha deciso di non farne parte infastidita dall’aggiunta della sigla «Centro democratico» che voleva l’ex M5s Gregorio De Falco. L’operazione va in porto solo grazie a due senatori prestati, uno dal Pd (una, Tatiana Rojc), l’altro dal gruppo delle autonomie (Gianni Marilotti). Alla fine la sigla «Cd» ufficialmente non ci sarà ma Lonardo comunque non entra. E’ già notte quando il forzista Luigi Vitali annuncia il suo sì a Conte.

Movimenti parlamentari

Alla Camera Bruno Tabacci, alla fine di una girandola di riunioni, annuncia l’ingresso nel Centro democratico, componente del Misto a Montecitorio, di due ex M5s, Piera Aiello e Alessandra Ermellino. Ma anche loro hanno già votato la fiducia a Conte. Insomma, l’“operazione responsabili” non decolla, il governo della Squadra catturandi – secondo la definizione definitiva di Rino Formica – ancora non ha catturato un granché. Con questi numeri, il rischio è che Conte non possa neanche aspirare a un mandato pieno. Ieri le consultazioni sono iniziate con l’arrivo al Quirinale della presidente del Senato, Elisabetta Casellati. Poi Sergio Mattarella ha sentito al telefono il presidente emerito Giorgio Napolitano, che per l’età avanzata non ha potuto essere consultato di persona. Infine ha incontrato il presidente della Camera, Roberto Fico. Proprio su Fico in queste ore circolano voci che lo indicano come possibile incaricato di un primo giro «esplorativo», come successe a Franco Marini nel 2008 (l’anziano ex presidente del Senato che proprio ieri è uscito dall’ospedale dopo aver sconfitto il Covid). Ma sono boatos poco verosimili. Presuppongono un rallentamento dei tempi che di certo al Colle non ci si augura.

Il totonomi

Resta che l’appello agli europeisti di Conte non ha smosso i precordi di nessuno. E i voti sufficienti non sono arrivati, come spiegano fregandosi le mani da Italia viva. Che però teme che le «sorprese» promesse da palazzo Chigi si materializzino. In un videomessaggio su Facebook Matteo Renzi chiama in causa, indirettamente ma chiaramente, il presidente della Repubblica: «Assistiamo alla creazione di gruppi improvvisati. In parlamento assistiamo a un vero scandalo, il tentativo di fare passare le persone non su un’idea ma su una gestione opaca delle relazioni istituzionali». Da Iv arriva polvere negli occhi: Teresa Bellanova per esempio fa rimbalzare l’idea di un mandato al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Orlando replica: «Mi sembra strano che per superare una fantomatica e inventata subalternità ai Cinque stelle si possa indicare Di Maio a palazzo Chigi».

Il punto, per i renziani, sta qui: se ci saranno abbastanza responsabili da blindare Conte, saranno della partita. Se non succederà, sarà Renzi a sparare il colpo finale al «cavallo azzoppato», espressione usata nel 2013 alla vigilia della bocciatura di Romano Prodi al voto per la presidenza della Repubblica (in realtà era riferita all’allora segretario Pd Pier Luigi Bersani). Ciascuno aspetta la mossa dell’altro. Oggi Mattarella vedrà alle 10 il gruppo Per le autonomie del Senato, poi il nuovo gruppo degli Europeisti, alle 16 i rappresentanti dei gruppi Misti delle due camere. Seguono Leu, Iv e Pd. Domani mattina sarà all’inaugurazione dell’anno Giudiziario della Cassazione. Le consultazioni riprenderanno nel pomeriggio, con la delegazione di Lega-FdI-FI e cespugli del centrodestra. Infine il M5s.

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