Sarà un'Alitalia che stupirà il mondo, una Cenerentola che diventa principessa, con una dote eccezionale di 3 miliardi di euro pubblici e la voglia di tornare quel che fu in un'altra era: un'accogliente compagnia aerea di bandiera. Un'azienda rinata dalle ceneri della pandemia che si lascia alle spalle come scorie un paio di decenni di disastri e dissipazioni di denaro. Per mesi e mesi questo è stato il trionfante ritornello ufficiale. Ora non più. Da qualche tempo è stato smorzato il volume degli entusiasmi, non solo perché la pandemia non è finita e resta buio il futuro del business dei voli, come prevede la Iata, l'associazione internazionale del trasporto aereo. Ma soprattutto perché nessuno qui in Italia sa davvero che cosa fare con l'Alitalia.

Il nuoco cda

Alla propaganda è subentrato un imbarazzato balbettio e dopo un'estenuante baruffa di settimane che ha coinvolto Pd, 5 Stelle, Italia Viva e perfino i sindacati, la sera di venerdì 9 ottobre è stato firmato il decreto per la newco, la nuova Alitalia e contemporaneamente nominato il Consiglio di amministrazione: Francesco Caio presidente e Fabio Maria Lazzerini amministratore delegato confermati dopo la nomina sui generis per Whatsapp del presidente del Consiglio Conte all'inizio dell'estate. I consiglieri sono 7, forse per accontentare tutti i pretendenti: Alessandra Fratini, Angelo Piazza, Lelio Fornabaio, Frances Vyvyen Ouseley, Simonetta Giordani, Silvio Maruccelli e Cristina Girelli.

Ma fatte le nomine rimane il problema: quando partirà davvero la nuova Alitalia? Con quale piano industriale? Con il progetto della Oliver Wyman di Roberto Scaramella rimodellato su quello presentato più di un anno fa e già allora accolto con molte perplessità? Con una flotta di 70 aerei al posto degli attuali 113, come dicono? O con appena 30 aerei, come sostengono altri? Cinque per il lungo raggio, 10 A 320 per il medio raggio, più una quindicina di Embraer, i piccoli aerei brasiliani che mesi fa erano stati ufficialmente estromessi dalla flotta e che invece con il Covid sono diventati provvidenziali per i voli brevi con pochi passeggeri. Di sicuro c'è che Alitalia continua a succhiare denaro pubblico a tutto spiano e nella gestione fino a oggi è prevalsa una disarmante continuità al ribasso.

Per la nona volta in tre anni da quando è cominciata l'amministrazione straordinaria (maggio 2017) sarà rinnovata la cassa integrazione per quasi 7 mila dipendenti su un totale di circa 10 mila. E non per qualche settimana o mese, la richiesta è per un anno intero, fino a settembre 2021. Le perdite restano ovviamente enormi, fino a poco tempo fa erano 2 milioni di euro al giorno, oggi probabilmente di più.

Le richieste continue

Per impedire il fallimento vengono periodicamente aperte le paratie del canale di denaro pubblico che da palazzo Chigi affluisce a Fiumicino. Ai tempi di Carlo Calenda ministro dello Sviluppo economico Pd furono elargiti 900 milioni di euro, altri 400 li ha messi il suo successore Stefano Patuanelli (5 Stelle). Più di recente il capo del governo Giuseppe Conte ne ha fatti scivolare 199 per tamponare lo sfacelo del Covid.

Ora dall'azienda chiedono altri 150 milioni per passare la nottata tra il 2020 e marzo 2021, per scavallare cioè la stagione invernale che da sempre è un incubo per Alitalia. A marzo però serviranno altri soldi perché nonostante i proclami ministeriali sarebbe un azzardo estremo avviare la nuova compagnia nel momento peggiore, proprio in bassa stagione e il Covid di ritorno.

Su tutto grava un'opacità di fondo, pochissime le informazioni fornite all'esterno dalla coppia al comando, Giuseppe Leogrande e Giancarlo Zeni, entrambi fortemente voluti dai 5 Stelle e in particolare dalla senatrice Giulia Lupo che in quanto ex hostess è stata ritenuta dal Movimento la persona giusta per seguire l'enorme partita Alitalia. Periodicamente la coppia Leogrande-Zeni viene convocata alla Camera o al Senato per essere ascoltata dai parlamentari, l'ultima volta è successo il pomeriggio di mercoledì 7 ottobre. Ma si tratta di rappresentazioni deludenti: perfino sul dato elementare della perdita di ricavi nel 2020 i due hanno fatto confusione, 1,6 miliardi di euro Leogrande, 2,2 Zeni. La precedente relazione di Leogrande fu considerata quasi unanimente così scarsa che gli osservatori incautamente previdero per lui e Zeni uno sgombero forzato. Non è andata così, entrambi sono rimasti al loro posto, anche se entrambi si fanno vedere fisicamente poco in azienda.

Zeni, in particolare, sembra non avere alcuna intenzione di mollare la presa e ambisce a incarichi futuri, forte del sostegno della senatrice Lupo e di Paola Taverna, anche lei 5 Stelle, vice presidente del Senato.

Zeni in questi mesi ha tentato di ridimensionare il nuovo capo azienda in pectore, Lazzerini, togliendogli molte delle deleghe che gli erano state attribuite e le ha trasferite a un dirigente di suo gradimento, Marco Comani, fatto venire apposta da Volotea. Zeni non è l'ultimo arrivato all'Alitalia, c'era già ai tempi della fallimentare stagione di Giancarlo Cimoli, inizio anni 2000. Fu lui, Zeni, che inventò per la compagnia di Fiumicino la definizione «network carrier», un modo per nobilitare un'azienda che non era e non è né carne né pesce: non una major dopo il fallimento dei tentativi di matrimonio con Klm e Air France e nemmeno una low cost perché troppo costosa.

Tagli al lungo raggio

Dopo un periodo fuori azienda, Zeni è tornato in Alitalia con Leogrande da Blue Panorama (ora Luke Air), azienda finita in concordato preventivo e poi venduta a Uvet con un contratto che nessuno riesce a esibire e secondo il giornale La Verità inesistente (è in corso un'inchiesta della magistratura). Zeni sta prendendo decisioni importanti che peseranno sul futuro Alitalia, qualunque esso sarà. Egli sta di fatto dimezzando la flotta di lungo raggio dei B777 composta finora da 12 macchine.

Sull'onda del successo commerciale del cargo prodotto dall'emergenza Covid, anche l'Alitalia di Zeni ha infatti deciso di trasformare in aerei per il cargo alcuni Boeing con una mossa che però è apparsa molto tardiva rispetto a quelle della concorrenza. Sono stati riconfigurati 2 B777 e per un terzo sarebbero stati avviati i lavori.

In teoria i B777 potrebbero in futuro essere riconfigurati come jet passeggeri con un'operazione che però richiederebbe tempo e nuovi costi. Altri 3 B777 sarebbero di fatto in uscita secondo quanto viene riferito a Domani da un'ottima fonte interna confortata da una documentazione aziendale riservata.

Fonti ufficiali Alitalia forniscono un'altra versione: dicono che il «phase out» riportato nei documenti, cioè l'eliminazione graduale dei 3 B777, non è una scelta definitiva, ma contingente. Dimezzare la flotta dei Boeing significherebbe in sostanza compromettere il futuro Alitalia sul lungo raggio.

Finora i B777 avevano collegato direttamente con molti voli settimanali Roma con Buenos Aires e San Paolo, le rotte più ricche per la compagnia italiana. Per le loro caratteristiche tecniche gli Airbus 330 Alitalia non sono in grado di svolgere lo stesso tipo di servizio.

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