Mario Draghi sul cornicione di un palazzo, con Sergio Mattarella che si sporge dalla finestra e cerca di convincerlo a non buttarsi. Secondo Beppe Grillo, che posta nel primo pomeriggio questo fotomontaggio ironico sul suo profilo Twitter, la situazione del prossimo governo è questa, «appesa a Rousseau», ma ormai sul cornicione a rischio caduta c’è molto più il Movimento che il presidente del Consiglio incaricato. Alla fine la votazione per il sostegno al nuovo esecutivo si conclude con il 59,3 per cento degli oltre 74mila votanti (su 120mila aventi diritto) che vota a favore. «Ci aspettavamo qualcosa in più», dice un deputato della fronda pro-Draghi, vicinissimo a Luigi Di Maio. Le speranze si erano accese dopo la pubblicazione del quesito con il quale di fatto è stato disinnescato il rischio che poteva essere rappresentato dal voto degli attivisti.

La domanda posta verteva infatti sulla conservazione dei successi degli ultimi tre anni e poneva l’accento sulla creazione del nuovo ministero per la Transizione energetica chiesto da Beppe Grillo e accordato da Draghi. Un quesito a cui era difficile dire di no. Eppure, nonostante tre endorsement di peso come quello del fondatore, del presidente uscente Giuseppe Conte e dell’ex capo politico Di Maio i consensi non hanno brillato, anzi. «L’intelligenza collettiva ha prevalso sul singolo e ha mostrato nuovamente la sua forza, una forza buona e adulta», scrive Di Maio dopo la pubblicazione dell’esito, liquidando così la pratica e rivolgendosi già alla composizione del nuovo esecutivo, di cui è difficile non faccia parte.

Il futuro del Movimento

Il voto è piuttosto il punto di partenza di un nuovo percorso della minoranza del Movimento, quella dei fedelissimi di Alessandro Di Battista, che hanno avuto nella consultazione l’occasione di contarsi e avere finalmente il quadro della situazione. Il voto rivela una fronda anti-Draghi che raccoglie i gruppi che negli ultimi mesi hanno fatto spesso ballare la maggioranza del Conte II su provvedimenti come l’approvazione della modifica del Mes. Vi si ritrovano tanti parlamentari che si sentono persi. «Oggi il Movimento è morto», dice un deputato lombardo. «Non so ancora se voterò contro la fiducia o non mi presenterò, ma il mio impegno politico dopo stasera non ha più un senso». Tanti di quelli che hanno votato No si rimetteranno alla volontà degli iscritti o eviteranno di presentarsi in aula il giorno del voto. Ma quel che è certo è che ormai le distanze tra le due correnti non sono più colmabili.

La giornata

Già nella serata di mercoledì, dopo la presentazione del quesito e la diretta Facebook di Di Maio che spiega che «a stare a guardare gli altri che spendono 240 miliardi ottenuti da noi non ci sto», arriva una lettera critica, firmata da tredici parlamentari.

Nella mattinata di ieri è per qualche ora Davide Casaleggio a dettare la linea ed evocare la possibilità che se dovesse vincere il No si potrebbe ragionare su un’astensione del gruppo pentastellato il giorno del voto di fiducia. Serve l’intervento del capo politico reggente Vito Crimi per escludere questa possibilità: «Se prevarrà il Sì sosterremo questo governo, se prevarrà il No non lo sosterremo». Un episodio che la dice lunga sui rapporti tra Movimento e associazione Rousseau.

Per tutta la giornata si rincorrono le dichiarazioni di voto contro il «quesito truffa», come lo chiamano alcuni ribelli. Il No si è imposto soprattutto al Senato, dove, riferisce un parlamentare, ha votato No «oltre la metà del gruppo».

L’ex ministro Danilo Toninelli spiega la sua scelta con l’immagine del titolo “In mano ai Toninelli” che gli ha dedicato il Giornale, Barbara Lezzi annuncia il suo No perché se vince il Sì «saremo ininfluenti». Parole nette, che però non è detto si trasformino in gesti concreti.

I governisti passano il pomeriggio a fare i conti, capire come affrontare la giornata di oggi. I ribelli valuteranno nei prossimi giorni quanto potranno pesare i loro numeri all’interno della nuova maggioranza. Intanto, Alessandro Di Battista continua a intervenire sui social per polemizzare contro l’esecutivo ma, dice un ribelle, «ancora non scende in campo». I contatti con chi a palazzo la pensa come lui insomma non mancano, ma non ha ancora deciso di porsi alla guida degli oppositori più intransigenti.

C’è infatti già un nucleo di parlamentari pronto a non piegarsi neanche alla decisione di Rousseau: una decina di senatori e altrettanti deputati che hanno già deciso che oltre a rispondere No al quesito di Crimi negheranno la fiducia anche al nascituro governo Draghi.

A quel punto i parlamentari dovrebbero soltanto decidere se annunciare loro stessi l’addio al Movimento oppure aspettare l’espulsione che inevitabilmente seguirebbe alla loro decisione di disattendere la volontà degli attivisti. «La democrazia del Movimento passa per il voto degli iscritti, che è vincolante», ha spiegato in serata Crimi.

Il passo successivo sarebbe riorganizzarsi nei due rami del parlamento. Per formare un gruppo parlamentare al Senato bastano dieci eletti: resta da vedere intorno a quale simbolo, altrettanto necessario per la fondazione del gruppo, possano raccogliersi.

 

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