«Non possiamo né vogliamo diventare un Sussidistan», ha detto questo lunedì il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, un’espressione con cui intendeva attaccare il frastagliato e indecifrabile mondo di sussidi, sovvenzioni e sconti fiscali che negli anni hanno trasformato quello che resta della politica industriale italiana in un territorio dai confini inconoscibili come quelli delle turbolente repubbliche dell’Asia centrale.

Ma su chi ha creato, favorito e spinto per la creazione di questo sistema, Bonomi ha preferito non esprimersi. L’ex sindacalista Marco Bentivogli, a cui è attribuita la paternità del termine “Sussidistan”, dice che i principali responsabili sono i due governi Conte. Nella polemica finisce così per essere coinvolto anche il reddito di cittadinanza, che con gli aiuti alle imprese non c’entra nulla, ma che è diventato per alcuni il sussidio per eccellenza.

Gli abitanti del Sussidistan

La verità che Bonomi e i suoi sostenitori fingono di non sapere che il Sussidistan esiste già, e molte imprese ci stanno benissimo. «È un fatto che ogni volta che c’è una legge di bilancio vari settori cercano nuovi incentivi, sussidi e sgravi fiscali», dice Enrico Giovannini, presidente Asvis ed ex ministro del Lavoro, che da tempo porta avanti la battaglia contro i sussidi ambientalmente dannosi (che secondo il ministero dell’Ambiente ammontano a 19 miliardi di euro ogni anno). «La posizione di Bonomi è quella che da sempre hanno gli industriali, ma dobbiamo distinguere la posizione di Confindustria dalla pratica di chi nei vari settori cerca di ottenere benefici di varia natura».

Miliardi per tutti

Sappiamo che le categorie in cui si dividono gli aiuti sono due: i trasferimenti diretti, cioè gli incentivi veri e propri, e le spese fiscali o tax expenditures, cioè sconti fiscali ad hoc per particolari categorie.

Queste due voci formano il “Sussidistan” industriale. Una stima al ribasso delle sue dimensioni sono i 21 miliardi di euro per “competitività e sviluppo delle imprese” che si trovano nel Rapporto annuale sulle spese fiscali 2019, un documento che dal 2016 viene prodotto ogni anno dal ministero dell’Economia e nel quale si possono rintracciare parte degli incentivi e delle tax expenditures ricevute dalle imprese. Di questi fanno parte super e iper ammortamento (che oggi rientrano nella nuova misura Transizione 4.0), ma anche riduzione per le accise. Da quelle sul gasolio per l’autotrasporto (1,3 miliardi) a quelle sulla produzione della birra (9 milioni).

Nel 2012, un gruppo di economisti guidato da Francesco Giavazzi è stato incaricato dal governo Monti di disegnare un quadro più preciso di questa giungla e di studiare un modo per ridurla. Nel loro rapporto, hanno stimato che i trasferimenti diretti alle imprese ammontavano a 36 miliardi di euro e che le tax expenditures ne valevano altri 30. Secondo Giavazzi e gli altri economisti, eliminando solo i sussidi “dannosi” si potevano ricavare circa 10 miliardi di euro.

Non era la prima volta che si parlava di attaccare il “Sussidistan”, come chiede oggi Bonomi. Ma chi ci ha provato si è spesso trovato solo.

Gli attacchi

Nel 2014, ad esempio, il viceministro dell’Economia del Pd Enrico Morando aveva cercato di tradurre in pratica il piano Giavazzi. «Mi ci ero messo di buzzo buono e potendo vantare una certa competenza in materia - dice oggi -, ma presto mi sono accorto che se il taglio delle detrazioni avveniva senza una riforma complessiva del fisco era troppo facile per le categorie colpite opporsi alla riduzione». Sul discorso di Bonomi aggiunge: «Se è uno dei tanti fervorini per dire che quelli che non vanno bene sono i sussidi degli altri, allora non merita grande attenzione».

Dopo l’infruttuoso tentativo di Morando, nessun governo ha avuto la forza di affrontare la questione della riforma fiscale necessaria a sfrondare le tax expenditures.

«La politica industriale è la grande assente», dice Riccardo Sanna, capo economista della Cgil. «Anzi, la politica industriale c'è, ma è scellerata. Negli ultimi cinque anni i governi hanno erogato incentivi fiscali generalizzati decine di miliardi di euro». Si tratta di incentivi «a pioggia», che non servono a promuovere filiere strategiche, occupazione di qualità o altri obiettivi di politica economica. Il centro studi della Cgil ha stimato 60 miliardi di questi incentivi tra 2015 e 2019. Ma anche questo era un conto che riguardava soltanto gli interventi principali, come gli sgravi contributivi per le nuove assunzioni e la deduzione del costo del lavoro dall’Irap voluti dal governo Renzi.

Gli unici incentivi mirati, che puntavano ad aiutare l’innovazione del tessuto industriale italiano e a favorire l’investimento in macchinari in e nuove tecnologie sono quelli di Industria 4.0, un piano che prevede la spesa di dieci miliardi di euro fino al 2022. «Industria 4.0 è l’unico pezzo politica industriale seria, ma è sconnessa dal resto del resto del sistema di incentivi».

La pandemia

L’arrivo della pandemia e della crisi economica causata dalle misure di quarantena ha portato una nuova ondata di sussidi. Per il 2020 le nuove risorse spese dal governo state indirizzate in massima parte a sostenere i lavoratori e le imprese, rispettivamente 27 miliardi e 22,7 miliardi. Anche qui, il conto è impreciso, visto che in buona parte il denaro destinato ai lavoratori sottoforma di cassa integrazione costituisce anche un aiuto alle imprese (a volte richiedendoli anche se non avevano subito alcun calo di fatturato).

Ma la crisi rappresenta anche un’occasione: «Oggi c’è l’opportunità direi imperdibile di razionalizzare l’attuale sistema, eccessivamente complesso, e sostenere meglio le imprese innovative che genereranno occupazione e crescita economica future», dice Andrea Mina, professore di Economia alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa ed esperto di innovazione industriale. Bonomi ha ragione quando chiede di disboscare il Sussidistan, ma se questa sarà la volta in cui Confindustria passerà dalle parole ai fatti rimane da vedere.

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