Il premier incaricato dovrà essere Giuseppe Conte? Dicono sì M5s, Pd, Leu, tutti i “piccoli” della maggioranza consultati ieri, compresi i nuovi responsabili Europeisti. Ma non Italia viva. Il presidente della camera Roberto Fico, l’«esploratore» incaricato dal Colle per rimettere insieme i cocci della maggioranza, confida sull’assenza di un veto formale di Renzi sull’avvocato, e sulla verificata «disponibilità comune a procedere su un confronto per raggiungere una sintesi». Tutti convocati stamattina alle 9 e mezza a Montecitorio per il secondo giro di consultazioni. Tutti insieme, due per forza politica, per concordare quello che Vito Crimi (M5s) ha definito «cronoprogramma» e Nicola Zingaretti (Pd) «patto di fine legislatura». Una scelta senza precedenti, quella di Fico. Come partire dal programma e poi arrivare ai nomi (del premier, ma in sostanza anche della squadra di governo). È la strada preferita dal leader di Italia viva, consegnata prima al Colle e poi a Fico. Ma per gli alleati è «una trappola»: una furbizia che consente a Renzi di tenere appeso Conte, e con lui l’ipotesi di un governo politico. Con la possibilità di farla saltare all’ultimo, e di puntare dritto a un governo istituzionale. La finta subordinata, in realtà l’obiettivo sin dall’inizio della crisi.

Il «metodo Fico» trarrebbe origine dal Colle, anche se ieri il portavoce del presidente della camera ha smentito la ricostruzione del Corriere della Sera. Fino a sera i partiti hanno aspettato indicazioni. Ma in questo metodo qualcosa non torna. Lo si capisce dalle parole di Bruno Tabacci, deputato del Centro democratico, e della senatrice Loredana De Petris, Leu, consultata nella veste di presidente del misto. Dalla Sala della Regina della Camera Tabacci avverte: «Conte è il punto di equilibrio possibile in questo finale di legislatura. Il programma va definito con Conte quando verrà incaricato, non prima, non funziona così. Non possiamo giocare, non possiamo dire “facciamo noi in fase esplorativa un programma e poi vediamo chi lo realizza”». C’è un fondamento costituzionale in queste parole. E De Petris: «Il patto è strettamente collegato all’indicazione per Conte». Iv invece gongola e si esercita sul programma. «Serve un cambiamento forte su economia e giustizia» secondo la senatrice Donatella Conzatti. Nel mirino dunque ci sono i ministri Roberto Gualtieri, estensore materiale del contestato Recovery plan, e Alfonso Bonafede, l’indigesto Guardasigilli che ha sfiorato la sfiducia lo scorso 27 gennaio. Bonafede è ormai considerato fuorigioco, Gualtieri si è attirato critiche anche nel suo partito. Al di là del tiro ai singoli ministri, il fatto chiaro è che Renzi rialza la posta. Oggi Iv chiederà «impegni chiari e responsabilità definite» su un nuovo piano vaccini – e balla il titolare Domenico Arcuri – sulla partenza dei cantieri delle infrastrutture; sul Mes circola però la voce di una proposta di un compromesso. E sulla scuola, con la ministra Lucia Azzolina in bilico. Un vasto programma, insomma. «E’ ancora tutto aperto ma se ci continuano a provocare andiamo su Draghi», avverte un deputato renziano.

È una boutade, una minaccia, ma forse per la prima non del tutto un’invenzione. Ieri il Colle ha smentito notizie di stampa che riferivano di telefonate partite dal Quirinale verso l’ex presidente Bce, fin qui notoriamente non interessato ad accollarsi i pasticciati dossier di Conte. La cosa però cosa irrita parecchio Tabacci: «Chi ha sciorinato in questi giorni il suo nome lo ha fatto così, senza che ce ne fossero le ragioni». O meglio con una ragione ben precisa, che a Tabacci e ai «responsabili» non piace: mandare a casa Conte.

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