Lo cercano a Catania, nell’elegante studio di un avvocato molto famoso in città. Perquisiscono da cima a fondo ogni stanza e ogni schedario ma non trovano nulla, così i poliziotti entrano a casa sua. Anche lì niente. Il video non c’è. L’avvocato non si mostra particolarmente agitato ma si precipita a diffondere un comunicato: «Chiarisco che non sono indagato, scrivetelo: non indagato». Poi, quando l’ascoltano, qualcosa la ricorda: «In effetti sono venuto a sapere di quel video, a Taormina ci fu una convention del Megafono, il movimento politico che faceva capo a Crocetta, e in quell’occasione fu lo stesso Crocetta a dire che c’era un video con bambini tunisini...». Bambini tunisini, riprese rubate, segreti da usare alla bisogna. È la politica siciliana al tempo del “partito” di Confindustria. Testimoni che raccontano, testimoni che confessano, testimoni che negano. E il video, dov’è? Chi l’ha girato? Quando? Chi lo nasconde? È il mistero del filmino del ricatto, quelle scabrose immagini che sarebbero all’origine del patto corruttivo – oltre un bel po’ di denaro per una campagna elettorale – fra un presidente di regione e la banda guidata da Calogero Montante, la sottomissione di Rosario Crocetta ai signori dell’“Antimafia imprenditoriale” che per un decennio si sono impossessati di un’isola. Tutti i retroscena di questa caccia al video sono contenuti in un’informativa della squadra mobile di Caltanissetta, atti del procedimento “contro ignoti” numero 1478/2018 della procura della Repubblica che indaga sull’“Anonima Montante”.

L’avvocato Fiumefreddo

La storia inizia il 14 maggio di tre anni fa, appena qualche ora dopo l’arresto per associazione a delinquere e spionaggio del vicepresidente di Confindustria. Un’auto carica di poliziotti parte da Caltanissetta e un’ora dopo è al centro di Catania, nello studio legale di Antonio Fiumefreddo, personaggio eclettico e dalle infinite risorse. Penalista di grido, docente di diritto di procedura penale, assessore comunale alla Cultura della giunta di Umberto Scapagnini (il medico personale di Berlusconi, mago di quell’elisir di lunga vita che offriva sistematicamente al suo paziente più illustre), mancato assessore regionale per due volte e per un soffio, sovrintendente del teatro Bellini per volere del presidente della regione Raffaele Lombardo, piazzato da Crocetta come amministratore unico della società che gestisce la riscossione dei tributi in Sicilia, presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda trasporti di Catania e presidente dell’organismo di Sorveglianza della società dell’aeroporto di Fontanarossa, più un miriade di altri incarichi dove immancabile è la parola “antimafia” o “legalità”, editore, in qualche modo (come vedremo) anche giornalista “d’assalto”.

Soprattutto, l’avvocato Antonio Fiumefreddo è un grande amico di Calogero Antonio Montante detto Antonello e di Ivanhoe Lo Bello detto Ivan. Come mai i poliziotti sono arrivati, proprio a lui, per trovare il video del ricatto? Perché ce li ha portati Alfonso Cicero, il testimone chiave dell’inchiesta su Montante.

Già due anni prima Cicero riferisce ai procuratori Caltanissetta di immagini che tengono sotto estorsione Crocetta, dichiarazioni coperte da molti omissis che si perdono nelle migliaia e migliaia di pagine sulle trame della regione siciliana. Fino a quando la mattina del 14 maggio 2018, giorno della cattura del vicepresidente di Confindustria, Cicero scrive un messaggio all’editore catanese del sito online Sudpress Pierluigi Di Rosa. Via WhatsApp gli invia anche articoli di stampa. Dopo qualche minuto Di Rosa risponde a Cicero e lo informa che «di quel video su Crocetta sa qualcosa l’avvocato Fiumefreddo di Catania» e che «si tratta di un video su casi di pedofilia in Tunisia e che il video era in possesso del Montante».

Oltre Cicero, adesso c’è anche Di Rosa che è al corrente di quei filmati. Cicero chiama il capo della squadra mobile Marzia Giustolisi e insieme raggiungono il procuratore aggiunto della Repubblica Gabriele Paci. Davanti al magistrato il testimone esibisce gli sms con l’editore catanese. E aggiunge: «In questo scambio di messaggi Pierluigi Di Rosa mi ha anche detto che l’avvocato Fiumefreddo aveva i dossier contro Marino (Nicolò Marino, magistrato, ex sostituto procuratore nel pool delle stragi a Caltanissetta e assessore regionale all’Energia cacciato da Crocetta perché contro i signori della monnezza amici di Montante, ndr) e che li aveva già “caricati” sul computer del giornale». Da un verbale di interrogatorio veniamo a scoprire così l’ennesima attività del famoso penalista catanese: quella di giornalista.

La notizia viene da Montante

Ma perché mai un avvocato tanto impegnato fra cause e consigli di amministrazione si diletta anche a fare il cronista? I procuratori interrogano l’editore Pierluigi Di Rosa. Che dice: «Abbiamo fondato insieme il sito ma, a un certo punto, io e la direttrice Simona Scandura abbiamo interrotto i rapporti con l’avvocato Fiumefreddo perché abbiamo notato un uso personalistico del giornale, nel senso che ci siamo ritrovati pubblicati degli articoli di cui non era chiara l’origine». Di Rosa data il momento quando tutto ciò avviene: quando l’avvocato si avvicina a Confindustria Sicilia. È in quel periodo che da Sud Press vengono diffuse «informazioni che erano oggettivamente fuori dalla portata che poteva avere il giornale».

Come un articolo sul senatore Vladimiro Crisafulli (uno degli spiati della banda Montante, ndr) scritto dall’avvocato ma firmato con uno pseudonimo. In quell’occasione Di Rosa chiede spiegazioni all’avvocato che gli risponde: «Sono carte che mi ha dato Montante». Capita un’altra volta. Un altro “pezzo” – sempre firmato con uno pseudonimo – contro il magistrato Nicolò Marino. Di Rosa vuole sapere e Fiumefreddo ancora lo rassicura: «Il materiale me l’ha dato Montante». Gli pseudonimi con i quali si firma l’avvocato-giornalista: Giorgio Drago e Aureliano Buendia, il primo cognome siciliano molto comune, il secondo preso in prestito dal fantastico personaggio di Cent’anni di solitudine.

Il caso Fiammetta Borsellino

Il legame editoriale fra Di Rosa e Fiumefreddo finisce quando l’avvocato vuole pubblicare la famigerata intercettazione fra il medico Matteo Tutino e Rosario Crocetta sull’assessore alla Sanità della regione Fiammetta Borsellino, la figlia del procuratore ucciso in via D’Amelio: «Quella va fermata, fatta fuori come il padre». È una telefonata che non esiste agli atti ufficiali di alcuna inchiesta e che viene pubblicata dall’Espresso, Di Rosa chiede di vederne le trascrizioni o di ascoltarne l’audio, l’avvocato Fiumefreddo tergiversa, Di Rosa gli toglie le password di accesso ai computer della redazione e l’avverte: «Non pubblichiamo più niente di tutto quello che viene da Confindustria Sicilia». A quel punto l’avvocato Fiumefreddo aggredisce fisicamente Pierluigi Di Rosa. La carriera del “giornalista” Antonio Fiumefreddo a Sudpress è al capolinea. Poi Di Rosa svela qualche altro particolare sul video del ricatto: «Fiumefreddo mi ha detto che aveva appreso da Montante di questi filmati di Crocetta e di rapporti sessuali con minorenni in Tunisia». E ancora: «Il Fiumefreddo me ne parlò prospettandomi un eventuale scoop sul nostro giornale qualora ne avesse avuto la disponibilità dal Montante». Un avvocato in cerca di scoop. A detta di Di Rosa non solo su Crocetta ma anche su Marino, sul quale la banda aveva concentrato attenzioni sbirresche per una sua presunta relazione sentimentale. «Fiumefreddo mi disse che il Montante era in possesso anche di questi altri filmati», precisa l’editore.

Alla fine, interrogato, il famoso penalista nega tutto e dà la sua ricostruzione dei fatti. Giura di non avere mai affermato che Montante avesse il video su Crocetta, giura che era Montante a chiedergli notizie e non il contrario, giura di non avere mai avuto alcun video. Né su Crocetta e né su Marino. E dichiara: «La voce del video su Crocetta girava… ebbi modo di parlarne con Crocetta anche in altra circostanza (oltre che alla convention di Taormina, ndr) e gli consigliai di fare una denuncia, mi disse che mi avrebbe fornito le carte ma non mi fece avere più niente». Poi l’avvocato fornisce qualche dettaglio in più, fonte lo stesso Crocetta: «Secondo una prima versione il video riguarderebbe una sua vacanza tunisina e sarebbe stato realizzato dai servizi segreti; poi mi parlò di un video con il fidanzato tunisino; poi ancora del video con lui e dei bambini». Cosa dice Crocetta pubblicamente di tutto questo affaire che lo investe e dell’accusa che «nella sua qualità di governatore si sarebbe asservito agli interessi di Montante per evitare la diffusione di un video a contenuto sessuale»? Anche lui nega, alla sua maniera: «Mi dipingono come una pornostar, come se fossi Rocco Siffredi. Ma dov’è questo video? La verità è che non esiste, è una bufala come al solito per denigrare la mia omosessualità». Tante versioni, tante interpretazioni. Ma qualcuno oggi è ancora sulle tracce del video fantasma.

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