Urso commissariato: sull’Ilva il governo rischia la faccia

Una scommessa elettorale, bomba a orologeria per il voto regionale del 23 e 24 novembre. Giorgia Meloni sa bene che non è il momento di lasciare l’ex Ilva al suo destino e vuole mandare un segnale, anche se il centrodestra dà la Puglia già per persa. Ma le potenziali conseguenze di uno sbaglio ricadrebbero direttamente sul partito della premier: il ministro competente, Adolfo Urso, è espressione di FdI. E quindi non è un caso che a gestire la comunicazione sugli ultimi, difficili, sviluppi della trattativa sia stato palazzo Chigi. Di fatto, il ministro dello Sviluppo economico è stato commissariato. Lo staff di Meloni intanto ha pubblicato due note dure per gli standard del linguaggio del governo. Nella prima si parla di «rammarico» per il fatto che i sindacati abbiano rinunciato a continuare a trattare. Nella seconda, si sottolinea il «concreto seguito alla disponibilità a proseguire il confronto». Una prova, secondo chi ha seguito da vicino il dossier, del fatto che Meloni abbia intenzione di metterci la faccia. E, di conseguenza, che abbia una soluzione da proporre martedì prossimo, quando ha convocato di nuovo i sindacati. Ex Ilva, operai in sciopero contro la chiusura: «Al governo non importa nulla di noi» Bomba sociale Effettivamente la situazione sociale è tragica. I seimila dipendenti che stanno per essere cassintegrati sotto Natale preoccupano tutto l’arco parlamentare. C’è chi parla addirittura di rischi «per l’ordine pubblico». «Si va verso lo spegnimento di tutti gli altoforni, siamo ai titoli di coda» dice chi ha seguito da vicino la vicenda. Sottolineando che la maggioranza ha appena tagliato 300 milioni dalla legge di Bilancio che sarebbero dovuti servire per la decarbonizzazione dell’impianto. Una brutta piega per una presidente del Consiglio che appena tre giorni fa, all’assemblea di Federacciai, si gloriava di aver rimesso in discussione la struttura stessa del Green deal in Europa e celebrava gli sforzi del governo per intervenire sui dazi – in realtà rimasti esattamente uguali a prima – imposti da Donald Trump. Insomma, nella migliore delle ipotesi i lavoratori che non sono più necessari con il progressivo spegnimento degli altoforni (attualmente è in uso, al minimo, soltanto il 4) potranno sperare in una soluzione ponte che prolunghi il commissariamento, di fatto già in atto, di un altro po’. Imprese, Urso non spende 4 miliardi e Giorgetti li ricicla in manovra Per la fabbrica che perde due milioni di euro al giorno, dice chi conosce bene i meccanismi che la muovono, l’unica strada a questo punto sarebbe il commissariamento. Una strada sempre esclusa dal governo, che non ritiene la nazionalizzazione possibile o auspicabile. Con buona pace dei grandi progetti – primo fra tutti, il Ponte sullo stretto tanto caro a Matteo Salvini – che invece di acciaio ne avrebbero bisogno, eccome. Ma il segreto di Pulcinella di cui in realtà tutti sono consapevoli è che difficilmente un potenziale acquirente si caricherebbe l’impianto senza un supporto statale per quanto riguarda la decarbonizzazione. «Tanto vale – dice un uomo delle opposizioni – governare anche tutto il resto dell’azienda». Schiaccia la palla anche Giuseppe Conte, in tour elettorale in Puglia. «Dopo gare deserte e investitori fantasma, lo stato deve prendere atto della realtà – ha aggiunto – deve assumersi le proprie responsabilità». Perché il sospetto di chi segue la vicenda da tempo è che, in realtà, la famosa offerta del compratore misterioso ancora in discussione possa essere soltanto un bluff. Un altro chiodo sulla bara in effetti è arrivato ieri sempre dal ministro Urso, che ha smentito la possibilità che il potenziale acquirente sia Qatar Steel, tirato in ballo da indiscrezioni dei giorni scorsi: «È confermato che vi è un terzo attore industriale straniero. Il resto non ci risulta». Ma ormai, la palla è tornata a palazzo Chigi.