Imprese, Urso non spende 4 miliardi e Giorgetti li ricicla in manovra

In assenza di risorse economiche, si può sempre ripescare da quelle non usate per proprie responsabilità. Così quasi 4 miliardi di euro non spesi per l’attuazione di Transizione 5.0, il meccanismo di incentivi alle imprese messo in piedi dal governo Meloni, finiranno nella prossima manovra. E il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, medita su come riciclarli. Tra il progetto di tagliare le tasse al ceto medio, tanto caro a Forza Italia, e il condono fiscale, voluto dalla Lega, c’è la necessità di dare risposte agli imprenditori. Che chiedono più attenzione, visto che la promessa di interventi per lenire gli effetti negativi dei dazi statunitensi è finita in stand-by. Ecco la manovra: tutto su missili e carri e briciole alla sanità Così, il flop della misura, firmata dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso, può andare in soccorso alla propaganda meloniana. In che modo? Si può rivendere un’iniziativa di scarso successo, ossia Transizione 5.0, come un’operazione di sostegno al comparto produttivo. Le risorse vengono presentate, con una piroetta, come un investimento. Insomma, tutto è possibile con una spruzzata di storytelling ad hoc. E in questo l’esecutivo è maestro. «Fanno il gioco delle tre carte con gli incentivi per le imprese», dice Emma Pavanelli, deputata del Movimento 5 stelle, che ha presentato un’interrogazione per capire il destino di Transizione 5.0 e degli interventi per garantire l’innovazione e il rinnovamento dei macchinari delle aziende italiane. «Avremmo dovuto fare come la Spagna con la digitalizzazione, come abbiamo chiesto a Urso in ogni occasione. Invece il governo ha scelto un sistema che ha tenuto lontano le imprese», aggiunge la parlamentare del M5s. Agli atti resta, invece, il flop della misura voluta da Urso, che si somma al gran caos creato sul futuro dell’ex Ilva: dei 6,1 miliardi di euro messi a disposizione, sono stati usati circa 2 miliardi di euro. L’ascesa di “miss” Fantini, ecco chi è la zarina di Urso La colpa? La lentezza e la burocrazia. Non a caso nel tempo sono stati apportati dei correttivi, con le opposizioni che hanno incalzato l’esecutivo. L’ammissione del Mimit Ad ammettere la situazione difficile è stato lo stesso ministero, in risposta a due interrogazioni presentate in commissione Attività produttive alla Camera. Una è quella di Pavanelli del M5s, l’altra addirittura è stata firmata Forza Italia con il deputato Luca Squeri. Anche nella maggioranza c’è chi osserva con una certa preoccupazione il sistema degli incentivi. «Malgrado l’iniziale lento assorbimento, i dati dell’ultimo trimestre fotografano una netta accelerazione nell’utilizzo delle risorse», ha detto a Montecitorio il sottosegretario alle Imprese, il leghista Massimo Bitonci, che ha risposto a nome di Urso, cercando di rivendicare un miglioramento negli ultimi tempi. C’è stata un’accelerazione, con una media di circa 300 milioni di euro al mese. Un ritmo che è insufficiente a usare l’intero fondo entro la fine dell’anno.La sintesi è che il meccanismo non ha funzionato. Tanto che per il futuro «l’obiettivo è quello di fare tesoro delle esperienze precedenti, migliorando gli aspetti che hanno creato problemi in termini di fruibilità e consolidando gli strumenti che hanno portato benefici concreti», ha sottolineato Bitonci. Servono modifiche per scongiurare gli errori del passato. Moda, ex Ilva e incentivi fermi: fallimento Urso sull’industria Al ministero di Urso si parla chiaramente dello spostamento delle risorse in vista della manovra. Ritorno in manovra «Prudenzialmente saranno 3,8 miliardi di euro, originariamente allocati su Transizione 5.0, che saranno destinati ad altre misure a beneficio delle imprese. Parte di questi interventi consentiranno di liberare risorse nazionali (finora legate ai vincoli europei, ndr) che potranno essere destinate al nuovo piano», dicono dal Mimit. Chiaramente d’intesa con il Mef di Giorgetti. L’idea è di attuare interventi che possono tornare utili anche ai comparti finora esclusi dagli incentivi, come quelli energivori. Maxi stipendi all’Inps Giorgetti furioso: «No a fughe in avanti» Tuttavia, sui contenuti del piano governativo, resta tutto da vedere. «Ci stiamo confrontando con tutte le principali organizzazioni datoriali e sindacali per definire un nuovo piano che risponda alle esigenze di supportare gli investimenti in digitalizzazione e sostenibilità ambientale delle imprese», aggiungono dal ministero delle Imprese e del made in Italy. Tradotto: a oggi non c’è alcuna idea precisa sulla modalità di azione a favore delle imprese. Addirittura spunta l’idea di tenere in piedi Transizione 5.0, nell’ambito della revisione del Pnrr. Grande è quindi la confusione sotto il cielo della legge di Bilancio. Banche, competitività e mercato unico. Il ruolo dell’Europa (dormiente) Del resto, il confronto si è aperto all’insegna delle divisioni e delle spaccature: il leader della Lega, Matteo Salvini, chiede una tassa alle banche, trovando lo stop del collega vicepremier, il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani. In mezzo alle beghe restano le richieste delle imprese, che vorrebbero solo un sostegno concreto per ridare fiato alla produzione industriale fiaccata da due anni di crollo verticale.