Nell’abuso metaforico che spesso accompagna il dibattito intorno alla politica italiana la figura del “laboratorio” è sicuramente tra le più evocate. Solo per rimanere agli ultimi anni il governo gialloverde è stato il “laboratorio politico” delle alchimie populiste, quello giallorosso della normalizzazione dei “barbari”, quello guidato da Mario Draghi dell’Italia che verrà, qualunque essa sia. L’ultimo “laboratorio” è quello che si è aperto in Veneto, o meglio che ha aperto in Veneto, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che dopo averne depositato il simbolo è pronto a lanciare un nuovo partito: Coraggio Italia.

Nei prossimi giorni, forse già la prossima settimana, verrà depositato lo statuto. Chi ha lavorato al progetto lo definisce un’«associazione-partito» su cui hanno lavorato, oltre all’ideatore Brugnaro, il presidente della Liguria Giovanni Toti e il deputato di Forza Italia, ed ex olimpionico di scherma, Marco Marin. Ci sarebbero già una ventina di parlamentari, qualcuno parla addirittura di trenta, pronti ad aderire. A questi si aggiungono sindaci, consiglieri locali, imprenditori. E l’obiettivo dell’iniziativa è già chiaro. Lo scorso settembre Brugnaro è stato rieletto sindaco con il 54,14 per cento, la sua lista civica ha ottenuto il 31,67 per cento, la Lega si è fermata al 12 per cento, il Pd al 19. Nella stessa tornata elettorale Luca Zaia ha ottenuto il 76,8 per cento, la lista Zaia presidente il 44,57 per cento, la Lega quasi il 17, il Pd il 12. Sia Brugnaro sia Zaia hanno preso voti ai partiti della propria coalizione e agli avversari. Entrambi, quindi, godono di un apprezzamento bipartisan. Caratteristica fondamentale per vincere le elezioni. Anche a livello nazionale.

Spazio al centro

C’è però un elemento che li distingue. Zaia, che nel 2025 terminerà la sua carriera di presidente della regione, milita in un partito strutturato, con un leader e una linea politica chiara. E anche se ha sicuramente più affinità con Giancarlo Giorgetti che con Salvini, anche se viene percepito come qualcosa di diverso dalla Lega dei “porti chiusi”, difficilmente riuscirà a imporsi fino a quando il Capitano resterà al suo posto. Per Brugnaro è diverso. Anche lui terminerà il suo mandato nel 2025, ma la cosa è irrilevante. È un imprenditore di successo, non ha bisogno di fare il parlamentare e, avesse potuto, si sarebbe risparmiato anche la rielezione a sindaco. La sua area di appartenenza, però, quella moderata più vicina a Forza Italia, è in grande movimento e sta cercando da tempo di immaginare il dopo Berlusconi.

Lo spazio quindi c’è. Soprattutto per chi ha le risorse economiche per finanziare un partito e le campagne elettorali (cosa che ovviamente non dispiace a Toti e agli altri parlamentari che gli si stanno avvicinando). Ma Brugnaro, con meno difficoltà di Zaia gravato dal fardello salviniano, potrebbe anche dialogare con il Pd e con le forze liberali e moderate che al momento hanno provato, con poco successo, a costruire un terzo polo centrista. Dopotutto non è un segreto che nel 2015, prima di candidarsi come indipendente nel centrodestra, il sindaco era stato contattato dal centrosinistra ma aveva declinato l’offerta dopo che gli era stata prospettata l’ipotesi di correre alle primarie.

Visti da sinistra

Il progetto del sindaco di Venezia viene guardato con interesse anche dai democratici. Enrico Letta, nel suo discorso di insediamento, ha descritto il partito come alternativo a Salvini e Meloni, ma ha glissato su Forza Italia. Segno che sinergie possibili con gli azzurri, magari deberlusconizzati, non sono da escludere. Nel frattempo ha appena affidato al vicentino Giacomo Possamai, capogruppo del Pd in regione Veneto, assieme a Delfina Belli e Nicola Oddati, l’organizzazione delle cosiddette Agorà democratiche, cioè il progetto che nelle intenzioni del segretario dovrebbe servire ad allargare il perimetro del partito sul territorio. Possamai è un lettiano doc e di certo non avrebbe difficoltà a dialogare con Brugnaro. Qualcuno racconta che il progetto sarebbe addirittura quello di candidarlo alle prossime elezioni regionali come sfidante di un eventuale candidato leghista. Ma il primo cittadino di Venezia ha già spiegato, anche a Zaia, che in passato lo ha considerato un pericoloso competitor, che non ha quell’obiettivo. Al momento ogni discorso è prematuro. Anzitutto perché il Pd veneto deve gestire i casi di Rovigo, dove il sindaco si è dimesso dopo che cinque consiglieri democratici hanno bocciato una sua delibera votando insieme all’opposizione (ma la crisi sembra essere in parte rientrata), e di Venezia, dove il partito metropolitano, dopo non essere riuscito a eleggere il segretario, è stato commissariato da Letta che ha nominato Lia Quartapelle. E poi perché nessuno ha ben chiaro come evolverà il progetto di Brugnaro.

Di certo c’è che se veramente, come sembra, Coraggio Italia può contare su una trentina di parlamentari, avrà un ruolo nella prossima elezione del presidente della Repubblica. Il resto dipenderà da come la sfida tra Salvini e Meloni trasformerà il centrodestra allontanando (o avvicinando) i moderati e dalla legge elettorale. In uno schema proporzionale dove ognuno potrà correre per sé un partito che raggiungesse, a livello nazionale, l’8 per cento, percentuale non distante da quella di cui oggi viene accreditata Forza Italia, sarebbe quasi sicuramente decisiva per costruire una maggioranza post elettorale. Diversa la situazione in caso di sistema maggioritario dove le alleanze dovrebbero essere definite prima del voto.

Letta, che in questo è e resta prodiano, difficilmente accetterà di abbandonare la sua impostazione maggioritaria. Ma i “laboratori politici”, si sa, sono pieni di esperimenti.

 

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