“Il carovita sale? Noi abbassiamo i prezzi”. La Grande distribuzione organizzata (Gdo) ci ha abituato a campagne pubblicitarie che strizzano l’occhio al consumatore in difficoltà. Questa volta è il turno di Esselunga, la storica catena milanese di supermercati, che in risposta al carovita abbassa il prezzo di decine di prodotti.

Una buona notizia per i consumatori in difficoltà. Eppure, questo efficace slogan rivela i problemi strutturali del settore agroalimentare.

Siamo nel pieno di una crisi energetica internazionale, è un dato di fatto che il costo del gas e dell’energia siano triplicati in pochi mesi.

Il rilancio delle attività produttive dopo i mesi di lockdown ha fatto aumentare la domanda di energia; le tensioni tra parte della comunità internazionale e la Russia; la scarsa autosufficienza energetica del nostro paese, che importa dall’estero oltre il 70 per cento della sua energia; l’aumento dei costi delle “quote di emissione” di CO2 nel sistema Ets dell’Unione europea. Tutto questo pesa sulle bollette domestiche, ma anche produrre cibo costa di più.

Il costo che non vediamo

Ogni singolo passaggio della catena agroalimentare prevede il consumo di elettricità o calore, per la grande maggioranza derivati da combustibili fossili: guidare un trattore, conservare i prodotti, trasportare il cibo dai centri di produzione a quelli di distribuzione.

Secondo le principali associazioni di categoria, per fare il grano per la pasta e il pane gli agricoltori stanno spendendo il 50 per cento in più per il gasolio e il 140 per cento in più per i concimi. Per non parlare dei costi di logistica e imballaggio. A essere penalizzati, soprattutto i vegetali freschi (+13,5 per cento), come melanzane o zucchine, gli oli diversi da quello di oliva (+19,9 per cento) e le pere (+29,6 per cento).

Alcuni produttori agricoli hanno visto crescere il costo della bolletta di un milione di euro solo per lo stoccaggio della frutta nei magazzini, altri hanno dovuto chiudere gli stabilimenti in attesa che passi questa fase.

In questo scenario, la Gdo si trova alle prese con una scelta difficile: aumentare i prezzi al consumo riconoscendo ai produttori quell’aumento dei costi che, in alcuni casi, è ben oltre il 30 per cento, oppure rilanciare sconti e promozioni per evitare di perdere clienti già alle prese con il rincaro delle bollette.

La campagna pubblicitaria di Esselunga segue quest’ultima via e ha prodotto un dibattito incandescente tra gli addetti ai lavori preoccupati di queste “fughe in avanti” di alcuni player della Gdo. Tanto che la catena si è vista costretta a modificare lo slogan in “anche quando il carovita sale, i nostri prezzi non temono confronti”.

Il cibo non vale nulla

Esselunga rivela però una tendenza del settore. Basta accendere la radio o guardare qualche spot tv per rendersi conto della campagna rassicurante che i supermercati stanno mettendo in piedi per non perdere clienti. Anche perché la Gdo in questi anni non ha fatto altro che educarci all’idea che il cibo non valga nulla e che quindi possa essere pagato il meno possibile.

Il caro bollette arriva però a ricordarci che produrre cibo ha un costo, amplificato dall’aver trasformato l’agricoltura in una industria fortemente energivora. E questo costo, oggi, va pagato, a meno di non decidere di far saltare intere filiere produttive.

La domanda è chi deve portare questa croce? La risposta in questi casi è sempre stata “i produttori” o “i consumatori.

Lo Spagna, invece, ha deciso di spostare il peso della crisi sulle compagnie energetiche invece di alzare i prezzi al consumo. Lo stesso si potrebbe fare nel nostro paese con la grande distribuzione, che fra l’altro ha triplicato nel 2020 il proprio fatturato rispetto al 2019.

Sembra quindi una buona idea aprire un tavolo con tutti gli attori – come hanno richiesto proprio le associazioni dei distributori – non per cancellare sugar tax e plastic tax, bensì per sancire il loro turno di assumersi l’onere maggiore.

Questa crisi sembra dovuta a fattori che hanno come fulcro l'esistenza di filiere globalizzate e comparti produttivi energivori legati alle fonti fossili. Oltre a tamponare l’emergenza, dunque, bisogna ripensare il sistema alimentare o ci ritroveremo presto di nuovo invischiati in una spirale distruttiva.

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