La scorsa settimana alla Camera c’è stato il voto finale sul “decreto Ucraina”, manca ora il vaglio del Senato. Deputati e deputate hanno votato, a larga maggioranza (391 voti favorevoli su 421 presenti, 19 voti contrari), un ordine del giorno che impegna il governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento del Pil, attraverso “un sentiero di aumento stabile nel tempo”.  

Già oggi, secondo Milex - Osservatorio sulle spese militari italiane per l’anno 2022, la spesa militare del ministero della Difesa sfiorerà i 26 miliardi di euro con una crescita di 1,4 miliardi di euro, +5,4, per cento rispetto al 2021.

Gli stanziamenti in aiuto pubblico allo sviluppo internazionale, invece, nel 2020 hanno raggiunto il minimo storico di 3,67 miliardi di euro appena lo 0.22 per cento del Pil  (nonostante impegni decennali ad avvicinarsi allo 0.7 per cento).   

Oggi la Spagna, la Francia ed i Paesi Bassi si dichiarano pronti ad aumentare le spese per i rifugiati ucraini, ma senza indicare se tali spese saranno addizionali proprio mentre l’Italia annuncia la ri-allocazione all’interno del proprio budget di 110 milioni di aiuti.

Per via delle regole Ocse, per anni le spese per l’accoglienza hanno creato un effetto ottico, giacché sono contabilizzate come aiuto allo sviluppo internazionale (Aps), rendendo di fatto alcuni paesi occidentali tra i percettori principali del proprio stesso investimento in cooperazione.

I 300 milioni di euro per il soccorso ai profughi dell’Ucraina che ha promesso la Norvegia, se non saranno addizionali comporteranno un riaggiustamento al ribasso di circa il 40 per cento del suo aiuto umanitario destinato altrimenti altrove.

Anche la Svezia indica di aver allocato nuovi fondi per l’Ucraina, ma al contempo fa intendere che il suo aiuto pubblico allo sviluppo potrebbe essere “aggiustato” a spese di questo intervento.

Vari donatori tedeschi hanno indicato – secondo Oxfam – che non sarà possibile prendere decisioni di spesa su altre situazioni fino al chiarirsi delle necessità emergenti dal quadro dell’Europa dell’est. La Danimarca ha già confermato che il proprio supporto alla crisi ucraina comporterà “scelte dure di ri-priorizzazione” rispetto ad altri teatri di crisi. La stessa Ue, per esempio, ha dimezzato il proprio aiuto umanitario a Timor est. Altri tagli sono attesi in vari paesi africani, fino al 70 per cento nel Burkina Faso.

Tutto ciò mentre all’appello urgente da 6 miliardi lanciato dalle Nazioni Unite per la carestia che colpisce Kenya, Somalia e Sud Sudan si è risposto con appena il 3 per cento di quanto richiesto.

Gli aiuti fantasma

L’Europa ha una storia macchiata di ambiguità sulla destinazione dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo. Nel 2015, quando si sono spesi 15 miliardi di euro per accogliere rifugiati Siriani, questo sforzo ha rappresentato ben l’11 per cento dell’intera spesa pubblica per lo sviluppo internazionale, a quel punto spesa in gran parte in Europa invece che altrove. L’Italia ha speso più risorse allocate alla cooperazione internazionale pubblica in Sicilia che nei paesi indicati come prioritari al parlamento.

Possiamo anche confrontare quei 26 miliardi di spese militare con gli stanziamenti per il contrasto alla povertà, che nel nostro paese vuol dire considerare l’ammontare delle erogazioni per il Reddito di cittadinanza: nel 2021 8,36 miliardi per 3,7 milioni di persone. Da quando esiste, cioè dal marzo 2019, a dicembre 2021 per il reddito di cittadinanza sono spesi 19,8 miliardi.

I 26 miliardi di spesa militare equivalgono all’intera somma erogata dal governo italiano per il sostegno a famiglie, imprese e cittadini in difficoltà a causa della crisi economica scatenata dal Covid, stimata da dati Inps 2020 in 27 miliardi fra cassa integrazione Covid, interventi di risarcimento/ristoro per varie categorie di lavoratori, misure di rafforzamento del contrasto alla povertà, come il Reddito di Emergenza.

Come ha chiesto ActionAid, lo sforzo dell’Italia e della comunità internazionale per l’Ucraina dovrebbe concentrarsi sulla diplomazia attiva, con l’obiettivo di una tregua immediata in grado di fermare le stragi di civili in corso, piuttosto che alimentare una guerra strutturalmente asimmetrica che porterà inevitabilmente a un aumento ulteriore delle vittime. 

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