«Non abbiamo fatto il nome di Conte perché siamo in una fase precedente. Abbiamo subìto quindici giorni di fango. Prima parliamo di contenuti e poi arriviamo alla discussione sui nomi. Devono dirci se vogliono stare con noi o no». Nelle parole che Matteo Renzi pronuncia all’uscita dall’incontro con il presidente Sergio Mattarella muore il Conte ter, almeno per come il titolare lo aveva immaginato, con una maggioranza ampia in cui Iv non è determinante.

Prima dell’ingresso a Quirinale, Renzi ha parlato con Conte. E’ stato il premier dimissionario a telefonargli. Renzi gli ha spiegato – è quello che filtra – di non avere problemi personali con lui, ma enormi questioni politiche. È quello che poi ripete a Mattarella con parole quasi dirette: Iv non è disponibile a appoggiare l’incarico a Conte, di certo non prima che si sia chiarito se c’è una maggioranza. Se Pd e M5S vogliono tornare alleati di Iv devono esplicitamente, e sedersi a un tavolo per discutere del programma. Il leader di Iv insomma ha aspettato sulla riva del fiume, ora vede che i «responsabili» scarseggiano e detta le sue condizioni: Conte dovrebbe tornare con il capo ben cosparso di cenere, e i Cinque stelle dovrebbero rimangiarsi la fatwa contro Renzi. Lui ha espresso a Mattarella la sua preferenza per un «governo politico», e nel caso il suo favore per un mandato esporativo; oppure per un «governo istituzionale», pur di non andare al voto. Che è la condizione data da tutti per scontata e che ha tenuto i senatori Iv compatti.

Ora tocca a Conte

Se quello che racconta Renzi corrisponde a quello che ha detto davvero al capo dello stato, adesso la palla sta a Conte: deve valutare se è in grado di compiere la sua terza giravolta della legislatura. Ma soprattutto al presidente della Repubblica che oggi consulterà i Cinque stelle e dovrà valutare se e come i loro veti si possano incastrare con quelli Iv.

La situazione è descritta dal volto scurissimo di Nicola Zingaretti, che parla subito dopo a nome della delegazione Pd e non accetta domande, unico caso: «Abbiamo esposto la disponibilità del Pd ad appoggiare un reincarico al presidente Conte nella direzione della responsabilità nazionale», un governo «nel solco della migliore tradizione europeista» e aperto al contributo di «tutte le energie disponibili in parlamento», ma «dentro questi valori», postilla che significa che il Pd non arriverà a un governo “tutti dentro” con le destre nazionaliste e sovraniste. Zingaretti parla della «lealtà e responsabilità» del Pd, di un «momento buio che noi abbiamo contrastato e non abbiamo certo voluto». Se Conte cadrà, deve essere chiaro che non è per mano dem.

Le speranze del Pd

In realtà il Pd non la vede così tragica, ma i voti in più non arrivano. In mattinata il senatore forzista Luigi Vitali, che nella notte ha fatto il grande salto verso la maggioranza, fa un clamoroso dietrofront. Spiega che sia Berlusconi che Salvini gli hanno assicurato che al voto non si andrà. La scena è comica, ma dai senatori della maggioranza arriva il sospetto che si tratti di una trappola: un episodio messo in scena da chi voleva mandare un messaggio a Conte («i numeri non arriveranno mai») e agli indecisi di FI («non c’è pericolo di andare al voto»). Comunque sia, l’operazione «responsabili» fallisce. Lo si capisce anche al Quirinale, dalla sala in cui i consultati parlano con i cronisti sorteggiati a piccoli gruppi per evitare assembramenti causa Covid. L’italoargentino Ricardo Merlo, cacciatore di teste a palazzo Madama e patron del neonato gruppo Europeisti, riferisce di aver indicato il nome di Conte, e liquida la questione numerica con nonchalance: «Questa non è una corsa ai conti». Una frase che sembra significare il suo contrario: la corsa è andata male. A differenza di quanto, da giorni, sostiene palazzo Chigi.

Dal Pd giurano che quello che Renzi ha detto ai giornalisti non torna. «Ha detto no al Conte ter? A noi non risulta», spiega un notabile dem. E così ripetono molti altri.  Andrea Orlando, in serata su La7, spiega così quella che chiama «vaghezza» sul reincarico a Conte: «Tiene insieme posizioni molto diverse all’interno del proprio gruppo. Aver mantenuto questa ambiguità ha garantito anche l’unità di Italia Viva».

«Il primo step è verificare se questa maggioranza e questo premier che ha ottenuto la maggioranza assoluta una settimana fa alla Camera e al Senato quella relativa possa allargare la sua base parlamentare», dice con realismo Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera, all’uscita dal Quirinale, ma avverte il problema: «Mai come in questo momento corriamo un rischio se iniziassimo a seguire una logica di veti contrapposti». La collega Loredana De Petris è più severa: «Il nostro giudizio sull’affidabilità di Iv è abbastanza critico. Questo non vale per molti parlamentari Iv con cui abbiamo lavorato in questi mesi». Boccia invece senza appello Conte Emma Bonino, a nome di +Europa e anche di Azione (con lei è il senatore Matteo Richetti). «Siamo europeisti davvero, il nuovo gruppo è senza alcun collante». Ma c’è anche una parte construens nel suo discorso: «Siamo disponibili a discutere contenuti con un nuovo eventuale presidente incaricato che abbia un autorevole profilo europeista e riformatore, in grado di raccogliere una maggioranza più ampia di quella attuale coinvolgendo le forze che al parlamento europeo sostengono il lavoro della Commissione guidata da Ursula von der Leyen». Il “Modello Ursula” che però dopo il no di Berlusconi sembra impraticabile. Ma bisogna «procedere per step», come dice Fornaro. E il primo step sarà consumare fino in fondo la vicenda politica del presidente del consiglio Conte.

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