Mafia

La beatificazione di Livatino e la lotta della chiesa alla mafia

LA PRESSE
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Il magistrato ucciso nel 1990 «in odio alla fede» riapre la riflessione sul rapporto fra la chiesa e la mafia, fra silenzi, “preti coraggio” e la svolta impressa dal discorso di Giovanni Paolo II tre anni dopo l’omicidio di Livatino

  • Ottava vittima della mafia nel 1990, Rosario Livatino inaugurò l’alba di un decennio di carneficina, con le ben più note stragi di Capaci e via D’Amelio. A 28 anni dal discorso di Giovanni Paolo II in suo onore, la chiesa proclama Livatino beato, il primo laico magistrato «martire in odio alla fede».
  • Il giudice antimafia ed presidente del Senato Pietro Grasso ha seguito il processo dall’inizio: «Rappresenta il grande riconoscimento di un uomo che ha testimoniato come si possano conciliare lo spirito di servizio del magistrato e i valori cristiani di giustizia e uguaglianza», dice.
  • La conferma che la chiesa faceva una lotta mirata alla mafia emergerà solo nel 2013, quando Totò Riina ne parlerà in carcere: «Quel papa polacco era cattivo... un carabiniere... Ha esortato a pentirsi...Ma noi siamo tutta gente educata».

I luoghi hanno un’anima e quella di Agrigento è di calcarenite, roccia porosa e friabile. Della stessa materia sono fatti i suoi eroi eponimi, all’apparenza piccoli, ma in grado di resistere nel tempo, come le colonne sbrecciate della Valle dei Templi resistono al vento dei secoli. Il magistrato Rosario Livatino era della stessa pasta: quando fu ammazzato da alcuni sicari della Stidda agrigentina il 21 settembre 1990, fu chiaro che non c’era colpo di lupara inferto alla carne che avesse potut

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